In Africa si somministrano pochissimi vaccini, ma si registrano anche pochi decessi legati alla malattia e presto sarà raggiunta l’immunità di gregge. Ad affermarlo, ripreso da Repubblica, è un immunologo del Malawi-Liverpool-Wellcome Trust Clinical Research Programme, Kondwani Jambo, che ha analizzato i dati fra i donatori di sangue del suo paese, scoprendo, a sorpresa, che l’81% degli abitanti di Blantyre, una città di quasi un milione di abitanti, e il 71% di Mzuzu (poco più di 220mila abitanti) presentavano tracce di anticorpi. “A guardare il numero di test – ha spiegato lo stesso Jambo – avremmo detto che meno del 10% della popolazione si era infettato”.



Sarà vero che il continente africano sia ormai prossimo all’immunità di gregge? A vantaggio della tesi avanzata da Jambo ci sono tre elementi. Il primo: l’Africa è uno dei continenti con la più bassa densità di popolazione al mondo. Il secondo: l’età media è 20 anni, la metà di quella dei paesi dell’Unione europea, ed è risaputo che sui giovani il Covid-19 si presenta con assenza di sintomi o con sintomatologia lieve. Il terzo elemento: recenti ricerche suggeriscono l’ipotesi che alcuni geni più diffusi in Africa che non da noi proteggano dai sintomi severi.



Detto tutto questo, per tornare alla domanda iniziale, difficile, e forse anche azzardato, rispondere che l’immunità di gregge sia a portata di mano. Epidemiologi, infettivologi e virologi non si sbilanciano, attendono validazioni da pubblicazioni scientifiche. Inoltre, il Malawi rappresenta solo l’1% dell’intera popolazione africana. In secondo luogo, la situazione epidemiologica è estremamente eterogenea: il Sudafrica, per esempio, rappresenta quasi la metà dei casi nella regione sub-sahariana (17° paese al mondo), mentre l’Etiopia, il secondo paese africano, segue da lontano, con solo il 6% dei casi riportati (e occupa il 74° posto nella graduatoria mondiale). Infine, la fotografia del Covid in Africa risulta sfuocata e distorta, non c’è sufficiente visibilità sulle reali dimensioni della pandemia (secondo alcune stime viene segnalata solo un’infezione su 7). Basterebbe però ricordare le parole dello scomparso epidemiologo Hans Rosling. Chiamato nel 2014 dal governo della Liberia per affrontare l’emergenza ebola in quel paese, alla domanda su quale fosse la situazione della malattia, rispose: “Sono assolutamente sicuro di non essere sicuro dei dati a disposizione”.



E’ pur vero, come ha recentemente ricordato l’epidemiologo Sandro Colombo nel corso di un webinar organizzato dalla rivista “Epidemiologia&Prevenzione”, che gli ospedali Covid non sono stati presi d’assalto e che la stessa Oms, nel suo ultimo bollettino sul coronavirus di gennaio, ha registrato per la prima volta dopo diverse settimane una diminuzione del 25% dei casi e del 4% dei decessi.

Il Covid, poi, ha avuto un impatto indiretto molto forte. Da un lato, i servizi sanitari hanno “trascurato” malattie endemiche, come malaria e tubercolosi, che continuano a mietere vittime. Dall’altro, molti paesi africani hanno adottato misure drastiche di contenimento, che hanno provocato danni catastrofici dal punto di vista economico e sociale.

L’Africa fa drammaticamente i conti con la penuria di tamponi, attrezzature diagnostiche e vaccini. E’ stato calcolato che per ogni dollaro speso in vaccini in Africa ne servano altri 5 per organizzare la struttura logistica e il personale sanitario indispensabile per fare le vaccinazioni. Questo spiega perché l’85% dei suoi abitanti non ha ricevuto neppure la prima dose e secondo le stime Onu nella maggior parte degli Stati dell’area sub-sahariana la percentuale di popolazione che ha completato il ciclo vaccinale risulta ancora troppo bassa: meno della metà di questi paesi ha raggiunto il 10% di copertura e ce ne sono alcuni, come Ciad e Repubblica Democratica del Congo, che non arrivano neppure all’1%. Il programma Covax, secondo le ultime stime, nel 2021 avrebbe consegnato all’Africa meno di 600 milioni di dosi, anche se i programmi erano di distribuirne 2 miliardi, previsione che a fine estate è stata rivista al ribasso, a 1,4 miliardi di dosi. Il motivo? L’India, uno dei maggiori produttori di vaccini per i paesi poveri, ha sospeso la distribuzione.

In Africa è nata la Omicron e l’Africa è considerata, assieme al Sudamerica, un potenziale focolaio di varianti. Intanto Sudafrica e Marocco si stanno attrezzando per produrre propri vaccini. E forse sarebbe il caso di aiutarli in questa impresa.

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