La pandemia tra i suoi paradossi ne annovera uno in più: il particolato, il noto indicatore di inquinamento. “Roma è un caso mondiale: azzerato il traffico, sale il particolato” titolavano in questi giorni i giornali della Capitale; ed è un paradosso, dato che in questi giorni fabbriche e auto non “sparano” veleni nell’aria. Spieghiamolo il paradosso: il particolato non è solo inquinamento, ma nel particolato è compreso il polline delle piante che in questi giorni di aria pura prolifera come non mai. Dormite tranquilli, dunque: quello che sembrava un indicatore cattivo è diventato indicatore di rinascita. E se non ci fosse incertezza e sofferenza, si potrebbe pensare a questi giorni di stop dei macchinari come ad un fenomeno sereno, lieve: il mondo senza inquinanti. E senza shopping di consumo, senza viaggi inquinanti. Che occasione per ripensare e rifondare quello che chiamiamo superficialmente “ecologia”, legandola solo a scenari apocalittici!



Questi giorni di silenzio, di disinquinamento, di profumi dimenticati, a tanti sono stati utili per riflettere sull’ecologia cioè sul parlare in modo appropriato (logos) della nostra casa (“oikos”). La Stampa titolava: “L’ecologia domestica ai tempi della quarantena” e la rivistaeco.it, quotidiano specializzato online, scrive: “Crescono le conferme sul rapporto Coronavirus-crisi ecologica e salute-ambiente. per salvarci dal Covid-19 dobbiamo salvare gli equilibri del Pianeta.” Vogliamo uscire da una visione ecologica-catastrofista e ci uniamo all’afflato con una definizione su cui riflettere: “ecologia è la capacità di abitare prima di costruire”.



Normalmente si pensa debba essere il contrario, cioè che prima si costruisce e poi si abita. Ora vedremo perché il rapporto inverso è più convincente e vincente.

La bellezza della pausa industriale – che non può e non deve durare -, la pulizia dei cieli che mitiga solo in parte il dolore delle perdite e delle sofferenze di questi acerrimi giorni, fanno pensare che l’ecologismo non può essere di tipo negativo, cioè terrorizzante per la paura della fine delle risorse. Come scriveva Hannah Arendt, precorritrice di ogni movimento ecologico, “nessuna opera prodotta dalle mani dell’uomo può eguagliare in bellezza e verità il kosmos fisico che ruota nell’eternità immutabile“. Se rispetti, ami, imiti la natura hai la speranza di salvarla; non se hai paura. Dunque, “Prima abitare, poi costruire”, perché se sei estraneo, se non abiti la cultura e il topos che stai rimirando, non puoi non averne paura; e se hai paura cerchi altra tecnologia per stoppare i danni della tecnologia attuale, e basta: non intacchi le parole “consumo”, “consumatore”, la prima causa di distruzione dell’umano e del bios.



Consumismo: sistema inautentico, direbbe Heidegger, cioè basato su una menzogna: produrre per far girare l’economia, a prezzo di creare bisogni inautentici per generare mercato. E basta che il Covid provochi pochi giorni di fai-da-te casalingo e di fermo dello shopping compulsivo (cioè inutile) per mostrarne la falsità. E il consumo non è un circolo che si perpetua come il ciclo virtuoso delle stagioni o il ciclo delle nascite, ma una spirale che si amplifica ad ogni giro, arrivando all’infinito del consumo, dell’erosione, della caries. Uscire dalla crisi dall’esterno, cioè senza abitare è quello che si fa moltiplicando protocolli, decreti e leggi e finalmente affidandosi alle neo-tecnologie. Ma la tecnologia per sua natura non ha leggi se non quella di autoperpetuarsi.

Ci hanno venduto un’idea: che essere pregni di desideri indotti dalla moda è la legge della vita; in realtà ci hanno “venduto a” quell’idea, è stata la forza della pubblicità. L’hanno chiamata curiosità. Ma la curiosità è l’antitesi dell’ecologia; perché la “curiositas” è la patologia della “cura”, cioè è la cura, l’attenzione alle cose, diventata patologica, mentre l’eco-logia è la cura della casa (oikos), l’attenzione diventata rispetto per il luogo dove si abita. Ed ecco: non si costruisce prima e si abita poi, ma solo abitando (cioè avendo a cuore, curando l’ambiente) si può poi costruirvi. Occorre la presenza prima della ragion pratica (“primum vivere deinde philosophari”), occorre che i protocolli nascano dalle esigenze vere e non il contrario, e quante esigenze inautentiche nascono dal voler applicare protocolli astratti!

Ci preoccupa invece un’ecologia basata sul terrore, dell’idea di uomo come cancro del pianeta, come scriveva Emil Cioran nel suo “L’inconveniente di essere nati”. Ci preoccupa anche quello modaiolo, basato sullo pseudo-attivismo autorizzato dal potere (i veri attivisti sono quelli che pagano di persona per i loro diritti).

La vera ecologia è non violare il bios, e imparare dai cicli della natura per arrivare alla fine dell’esistenza non freneticamente desiderosi di un gadget o ebbri di voglie o rimpianti imposti da moda e pubblicità, ma “sazi di anni”, perché abbiamo visto e rivisto la natura fiorire, sfiorire, appassire e poi rifiorire, rifiorire e riappassire tante e tante volte e ce ne siamo innamorati. Chi toccherebbe con mani impure, chi sciuperebbe, peccherebbe, colpirebbe il corpo dell’innamorato, dell’oggetto della sua venerazione? E studiare modi di coltivazioni, ingegneria, architettura sostenibili cioè integrate nell’ambiente per i materiali e la scelta degli stili, e non figlie di desideri consumistici indotti dal mercato. La quarantena Covid ci ha insegnato a riconoscere l’ecologia buona, quella del silenzio e della lentezza, della pasta in casa, per reimparare a detestare il surriscaldamento del pianeta, lo spreco, le plastiche, i condizionatori inutili. Non perché sennò le scorte finiscono, ma perché sciupano una cosa bella, dove abitiamo e dove vogliamo costruire.

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