RIO DE JANEIRO – Domenica 31 maggio, nella piazza dei ministeri, a Brasilia, il presidente della Repubblica, Jair Messias Bolsonaro, ha salutato i manifestanti – non molto fitti – che stavano dimostrando contro il Supremo tribunale federale (Stf). Lo ha fatto prima da un elicottero militare mimetizzato, poi è salito a cavallo. Una sceneggiatura che verrebbe bocciata perché inverosimile.
Il Brasile sta entrando in una crisi istituzionale senza paragoni. L’ultima tappa si è avuta mercoledì 27, quando il Supremo tribunale federale ha emesso 29 mandati di perquisizione per un’inchiesta su “fake news” contro lo stesso Stf.
I coinvolti sono tutti stretti alleati di Bolsonaro e potrebbe figurarvi anche il figlio Eduardo. Sull’inchiesta sono state naturalmente sollevate millanta obiezioni di merito e di metodo, ma anche al non esperto stona che l’Stf si trovi a essere allo stesso tempo parte offesa, investigatore e giudice.
Il clima era già teso per la pubblicazione del Consiglio dei ministri invocato dall’ex ministro Sergio Moro come prova dei tentativi di Bolsonaro di manipolare la Polizia federale, e ci sono un paio di frasi in questo senso. L’Stf ha però reso pubblica tutta la riunione, che non ha fatto eccezione alla regola di Bismarck: meglio non veder fare i würstel, né le leggi. Parolacce e lungaggini, a qualcuno potrebbe ricordare un’assemblea di condominio.
Bolsonaro parla anche di armi e di colpo di Stato, ma è la tesi secondo cui le armi ai cittadini servono a evitarlo. A orecchie italiane sembra strano, ma un sudamericano è sensibile, perché ricorda le leggi sul disarmo a Cuba subito dopo la rivoluzione, in Venezuela (nel 2012) e anche in Brasile, il primo anno di governo di Lula.
A far scattare la reazione, però, potrebbe essere stato il ministro dell’Educazione, Abraham Weintraub, che ha dichiarato che quelli di Brasilia li “metterebbe tutti in galera. Cominciando dall’Stf”. Bolsonaro twitta polemicamente l’articolo di legge sull’abuso di potere, che prevede da uno a quattro anni di galera per chi divulga registrazioni non legate alla produzione di una prova. Due giorni dopo scattano i mandati.
È difficile considerare l’Stf come al di sopra delle parti: i suoi 11 membri sono nominati dal presidente in carica quando qualcuno lascia per andare in pensione (o muore mentre è in carica, come è successo nel 2016 a Teori Zawascki, il relatore della Lava Jato, deceduto nella caduta di un elicottero). Sono tutti giuristi, ma solo quattro sono giudici. Sette sono stati nominati da Lula e Dilma, tra cui il presidente, Dias Toffoli, allora quarantenne, e che fu per molto tempo avvocato del Pt.
La reazione di Bolsonaro alle indagini sulle “fake news” è durissima: “Non avremo più un giorno come questo. Basta. Vogliono togliere i media a mio favore con queste menzogne” e ha ricordato che ha in mano “le armi della democrazia”. Il figlio Eduardo ha detto che la domanda non è più “se”, ma “quando” si avrà una “rottura”.
Le “armi della democrazia” secondo Bolsonaro sono l’articolo 142 della Costituzione del 1988, secondo cui “Le forze armate sotto l’autorità suprema del presidente della Repubblica sono destinate alla difesa della Patria, a garanzia dei poteri costituzionali”. Naturalmente c’è guerra di interpretazioni, ma di sicuro lo scontro in corso fa scricchiolare i punti deboli dell’architettura costituzionale brasiliana, un presidenzialismo zoppo senza un potere super partes che possa mediare e risolvere i conflitti.
Domenica pomeriggio ci sono stati alcuni scontri a São Paulo tra manifestanti contro Bolsonaro (è riuscito a mettere insieme i tifosi organizzati di Corinthians e Palmeiras!), militanti a favore e la polizia.
Al quadro mancano comunque le folle. Non si capisce se per scarso appoggio popolare o per la pandemia che, nonostante i programmi di riapertura, continua a correre e da una settimana ormai fa più di mille morti al giorno.