Ancora Covid, ancora crisi, ancora morti. Le notizie che riguardano il virus ci invadono da ogni parte, creano ansia, introducono speranze che spesso durano lo spazio di un mattino. Eppure c’è dell’altro. Basta interrogare i numeri della pandemia in modo diverso da quello che ci passano ogni giorno, da mesi, giornali ed esperti di varie discipline per scoprire che, forse, la realtà non è proprio come la raccontano.
Per esempio, scoprire che in Europa esiste un Paese messo decisamente peggio degli altri nonostante venga osannato quasi ogni giorno dall’Organizzazione mondiale della sanità e, cosa più unica che rara, addirittura da Germania e Francia, fari economici del continente. Un Paese che si chiama Italia. “I calcoli si fanno in base al rapporto fra decessi e popolazione, non in base al numero assoluto. Se escludiamo San Marino e Andorra, poco significativi perché troppo piccoli, ma anche il Belgio dove le statistiche sul Covid vengono eseguite seguendo parametri differenti dal resto del continente, l’Italia si piazza al primo posto e al suo fianco si trova solo la Spagna”. Parola di Luca Ricolfi, politologo, sociologo e presidente della Fondazione David Hume. Lo ha detto mercoledì scorso nel suo intervento alla lezione on line dal titolo “Niente sarà più come prima… ma anche sì: perché e come il mondo dovrebbe cambiare?”, ultima del corso “Scienza e fantascienza. Non solo virus. I nemici invisibili” organizzato dall’Università dell’Insubria (Varese-Como).
In testa alla classifica si trovano in modo netto i Paesi scandinavi, ma se estendiamo la ricerca ai più virtuosi Stati del mondo in tema di contenimento della pandemia, allora il confronto diventa a dir poco impietoso: a fronte degli oltre 800 morti italiani di Covid per milione, Taiwan è a quota 0,3, la Nuova Zelanda e Singapore a 5, l’Australia a 35. “Siamo un modello negativo che documenta come ci troviamo di fronte ad un capolavoro governativo di distruzione del Paese: perdere oltre 50mila persone in meno di un anno è una tragedia che l’Italia non ha mai vissuto in tempo di pace”.
Perché, allora, mezzo mondo punta il dito contro gli Stati Uniti e porta l’Italia sul palmo di mano quanto a misure anti-pandemia? Propone una risposta inquietante Paolo Musso, filosofo della scienza e docente nella medesima università: “I Paesi asiatici e gli Stati Uniti sono sempre stati i più critici verso l’Oms, mentre l’Italia le ha fatto da zerbino”.
La questione è dunque di natura squisitamente politica, risiede cioè nello strapotere dell’establishment politico-economico-culturale mondiale, del quale quello del Bel Paese farebbe parte a pieno titolo? Sotto questo punto di vista, anche il sistema italiano dell’informazione è stato messo nel mirino: Ricolfi ha parlato di “giornalisti superficiali e acritici, in larga parte fiancheggiatori del governo”.
Come ricostruire? è stata infine la domanda che si è posto Giorgio Vittadini. La sua è stata una riflessione sull’oggi, ma per guardare a domani: “La pandemia in atto accelera la necessità di cambiare. Occorre essere flessibili e geniali, come un tempo lo erano gli umanisti. Bisogna cambiare la qualità dell’istruzione, allontanarsi dal modello americano basato sul livello standard, smetterla di fare i test per la facoltà di Medicina a risposta chiusa, in cui basta una crocetta per rispondere. La ripresa, economica e non solo, dipenderà invece dalla capacità di usare la creatività, perché il futuro sta nella ripresa dell’umano”. Un modo diverso, insomma, di guardare la realtà. Senza negarla, ma anche senza esaltarla.