«Il coronavirus quasi dal primo giorno è apparso come un virus umano». A seminare dubbi sull’origine della pandemia Covid era stato stato Kristian Andersen, esperto di malattie infettive alla Scripps Research di San Diego. Sin dal gennaio 2020 ha cominciato a “seguire” Sars-CoV-2 per provare a fare chiarezza sulla sua origine. Non si tratta del primo virus a circolare, infatti condivide l’80% del suo genoma con quello che scatenò la Sars ed è lontanamente legato anche alla Mers. Il fatto è che si è diffuso troppo rapidamente. Questo «sembrava essere pronto a causare la pandemia». L’infettivologo, citato in un approfondimento del New Yorker, nella sua carriera si è occupato del virus del Nilo occidentale, Ebola e Zika. Ed è uno degli scienziati che il noto Anthony Fauci ha consultato per confrontarsi proprio sull’origine del coronavirus. Infatti, compare tra le mail ottenute da BuzzFeed News in cui scriveva che il genoma di Sars-CoV-2 sembrava «incoerente con le aspettative della teoria evolutiva». Andersen aveva notato che «una parte davvero piccola» del genoma ha «caratteristiche insolite». Il riferimento era, ad esempio, alla proteina spike, che si lega facilmente ad un recettore delle cellule umane noto come Ace2, e al sito di scissione della furina, che può aumentare la trasmissibilità del virus permettendogli di arrivare più rapidamente agli umani.



«Bisogna guardare molto da vicino tutte le sequenze per vedere che alcune delle caratteristiche (potenzialmente) sembrano ingegnerizzate», aveva aggiunto Kristian Andersen. Pochi giorni dopo la sua prospettiva è cambiata. In una e-mail inviata ad un gruppo di scienziati, recuperata dal gruppo investigativo U.S. Right to Know, ha scritto: «Le principali teorie strampalate che girano al momento riguardano il fatto che questo virus sia stato in qualche modo progettato con intenzione e questo non è dimostrabilmente il caso». Quindi, è comparso nella lettera pubblicata da Nature Medicine in cui si attribuiva un’origine naturale al coronavirus.



I SOSPETTI SULL’ORIGINE DELLA PANDEMIA COVID

C’è poi la questione dei ricercatori del Wuhan Institute of Virology che si sono ammalati nel 2019 mostrando sintomi simili al Covid, che si aggiungono ai sei uomini che nel 2012 hanno accusato una grave malattia respiratoria lavorando in una miniera dello Yunnan, dove si erano recati per rimuovere il guano di pipistrello. In quel periodo Shi Zhengli, capo del Centro per le malattie infettive emergenti del laboratorio di Wuhan, si è recata regolarmente col suo team nella miniera per raccogliere tamponi fecali e della gola da sei diverse specie. In tutto sono stati raccolti 1.300 campioni. Nel 2016 hanno pubblicato uno studio da cui si evince che quei pipistrelli erano infettati da due o più coronavirus diversi. Quindi, hanno sequenziato i nove coronavirus legati alla Sars, che sono stati poi confrontati con quello emerso agli albori della pandemia, scoprendo una corrispondenza del 96% con RaTG13. Ma secondo i cinesi quei casi sospetti precedenti non sono legati a Sars-CoV-2. Il fatto è che in nessun lavoro si è fatto accenno ai lavoratori malati. A destare dubbi anche il fatto che il database del Wuhan Institute of Virology non sia più accessibile. Se per il biologo evolutivo Jesse Bloom i “parenti stretti” di Sars-CoV-2 sono nelle grotte di pipistrelli dello Yunnan e nell’Istituto di virologia di Wuhan, il che appare insolito, c’è poi un’altra questione rilevante, quella degli esperimenti di gain of function, alcuni dei quali finanziati dagli Stati Uniti. «Stavano essenzialmente giocando alla roulette russa con il virus», ha dichiarato il microbiologo David Relman, di Stanford.



LA “FIRMA” SUL CORONAVIRUS

Nonostante il fatto che il sito di scissione della furuna sia stato oggetto di molti dibattiti negli ultimi due anni, Shi Zengli, l’esperto di coronavirus Ralph Baric della University of North Carolina e Linfa Wang della Duke-N.U.S. Medical School non hanno mai fatto menzione pubblicamente di questi esperimenti. Neppure Peter Daszak, membro del team dell’Oms che ha condotto la prima “missione” sull’origine del Covid, numero uno di EcoHealth Alliance, finito al centro di un intrigo internazionale. Quel che è strano è che con la tecnologia attuale i virologi non siano in grado di determinare se il coronavirus sia stato ingegnerizzato osservando il genoma. A tal proposito il New Yorker ha sentito un virologo francese che invece non ha dubbi: «Il segreto è che se si guarda abbastanza da vicino, si può vedere una piccola firma dell’Istituto di virologia di Wuhan».