Prima la Fondazione Gimbe ha segnalato che dal 29 dicembre 2020 al 5 gennaio 2021, rispetto alla settimana precedente, si è registrato un incremento dei nuovi casi del 26,7%, un dato che mostra “l’inversione della curva dei nuovi casi, dopo 6 settimane consecutive di calo”. Ieri, poi, si è aggiunto il Monitoraggio della cabina di regia a segnalare che “c’è un aumento complessivo del rischio di una epidemia non controllata e non gestibile nel Paese dovuto ad un aumento diffuso della probabilità di trasmissione di Sars-CoV-2 in un contesto in cui l’impatto sui servizi assistenziali è ancora alto nella maggior parte delle Regioni e Province autonome”. Si avvicina la terza ondata più forte della seconda che stiamo affrontando da inizio autunno? “Difficile rispondere – osserva Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma –. La diffusione delle varianti decisamente più infettive, ma non più patogene, pone la domanda se si tratti davvero di una terza ondata o se invece è solo una maggiore capacità del virus di infettare”.
La sua risposta?
Una terza ondata dovrebbe presupporre un aumento dei comportamenti a rischio come è successo la scorsa estate, che è stata la prima, vera grande causa della seconda ondata d’autunno. Più che di ondata, parlerei di un letto e graduale aumento della contagiosità in tutta Europa.
Non a caso l’Oms Europa ha esortato gli Stati a fare il possibile per ridurre la circolazione del Covid-19, considerata anche la maggior trasmissibilità riscontrata nella variante inglese. E la stessa Cabina di regia teme una recrudescenza dell’epidemia “qualora non venissero definite ed implementate rigorosamente misure di mitigazione più stringenti”. Anche in Italia è necessario fare di più di quanto abbiamo fatto finora?
I criteri di restrizione adottati in Italia sono stati anche più rigorosi che nel resto della Ue. La domanda è: sono stati rispettati e sono stati fatti rispettare? E ancora: chiudendo le attività di ristorazione e i luoghi di ritrovo pubblici, abbiamo semplicemente spostato le persone nelle proprie case dove hanno organizzato grandi feste e incontri, senza alcuna possibilità di controllo? Se i criteri sono stati rispettati, avremo presto un calo dei contagi; in caso contrario, non avremmo ottenuto alcun risultato.
Intanto è partita la campagna dei vaccini. Un primo bilancio?
Tutto sommato, si è iniziato bene. Parlano i fatti: l’Italia fino a venerdì era il secondo paese della Ue in termini di numero di vaccinazioni. Certo, la grande scommessa sarà più avanti, quando bisognerà chiamare le persone alla vaccinazione. Servirà una grande organizzazione per predisporre un grande piano di prenotazioni e somministrazioni. C’è ancora un bel lavoro da fare.
Viste le enormi richieste, Pfizer due giorni fa ha annunciato un invio di dosi, non solo in Italia ma anche in altri paesi, sottodimensionate rispetto agli ordini previsti. Può diventare un problema serio?
Questo era un problema annunciato. L’Italia ha acquisito ordini per 202 milioni di dosi di vaccino, lavorando con sei diverse aziende, che in teoria avrebbero dovuto fornircele in un tempo abbastanza sequenziale. È successo, però, che abbiamo solo Pfizer, che chiaramente è in difficoltà oggettiva a rifornire tutto il mondo. Presto però avremo anche Moderna, che ha ricevuto l’autorizzazione sia dell’Ema che dell’Aifa, e questo aumenta le potenzialità, anche se va ricordato che da Moderna abbiamo opzionato 10 milioni di dosi.
Perché la vaccinazione nelle regioni procede a ritmi assai difformi?
Non me lo spiego, perché in teoria tutte dovevano avere le stesse opportunità iniziali, visto che era stato detto con chiarezza che cosa ogni Regione doveva avere per partire con la campagna vaccinale. Probabilmente qualche Regione ha dei problemi di logistica, non tanto sull’approvvigionamento dei vaccini, quanto sulla conservazione, non avendo acquisito tutti i grandi refrigeratori per mantenere a temperatura appropriata il vaccino Pfizer. E in qualche Regione potrebbero esserci carenze di medici vaccinatori. L’auspicio è che chi è partito meglio, come il Lazio, continui a tenere un ottimo ritmo e gli altri rapidamente si adeguino. Altrimenti c’è il rischio che non arriveremo a coprire la popolazione nei tempi indicati.
A proposito di carenza di medici, vanno coinvolti i medici di famiglia, che hanno dichiarato: “Siamo in 60mila, se vacciniamo 20 persone al giorno ciascuno possiamo arrivare a più di 1 milione di immunizzati ogni 24 ore”?
Di principio, assolutamente sì, i medici di famiglia sono il presidio sul territorio che potrebbe garantire una distribuzione adeguata e logica dei vaccini alle persone che ne hanno bisogno, a partire da anziani e soggetti più fragili. Bisogna però vedere che cosa questa possibilità comporta dal punto di vista logistico: l’approvvigionamento e la conservazione sono garantiti? E poi, bisogna fare attenzione.
A che cosa?
Sono vaccini che ancora conosciamo poco, il medico deve essere in grado non solo di vaccinare, ma anche di accogliere attentamente un’anamnesi e di compilare le necessarie schede di farmacovigilanza. Se questi due aspetti vengono risolti, credo che coinvolgere i medici di famiglia sarebbe una buona idea.
La riapertura delle scuole superiori è stata ancora una volta rinviata, si temono grossi rischi di contagio. Non varrebbe allora la pena vaccinare prima gli insegnanti bypassando il criterio anagrafico scelto dal governo?
È un’ipotesi che sta circolando. In linea di principio, se la riapertura delle scuole può essere aiutata dalla vaccinazione degli insegnanti, e probabilmente lo è, e se logisticamente si può fare, è una buona idea. Bisogna solo valutare se si riesce a fare con le dosi disponibili, inserendo gli insegnanti in una categoria prioritaria. Trovo allucinante che l’Italia abbia le scuole ancora chiuse da quasi un anno.
Secondo l’amministratore delegato di Moderna, “dal nostro vaccino potenziale protezione per un paio di anni”. Significa che questo vaccino è più efficace di quello di Pfizer, che garantisce una protezione di minore durata?
Se uno guarda con attenzione i lavori scientifici che sottendono all’efficacia dei due vaccini, a Moderna nei modelli sperimentali, non nella Fase 3, hanno studiato la durata degli anticorpi. La sensazione è che questi anticorpi nei primi tempi siano molto stabili come quantità e quindi si può estrapolare l’ipotesi che potrebbero durare per un periodo consistente. Non sappiamo però se poi ci sarà un tracollo improvviso legato a mille fattori. Quindi, ciò che dice l’ad di Moderna è ragionevole, ma resta un’ipotesi di lavoro e comunque non indica che Moderna sia più efficace di Pfizer, per la semplice ragione che su Pfizer non abbiamo questo dato.
L’Ema ha rinviato l’approvazione del vaccino AstraZeneca, chiedendo maggiori informazioni su qualità, efficacia e sicurezza del siero. Sono richieste che mettono in dubbio la validità del vaccino di Oxford?
Credo che l’Ema abbia preso la giusta decisione. Abbiamo i dati pubblicati di Pfizer e di Moderna che parlano di un’efficacia del 94-95%, con limitati effetti collaterali, buona safety e ottima efficacia. Non li abbiamo, al momento, di AstraZeneca e quindi l’Ema fa bene ad aspettarli.
Ma l’Agenzia del farmaco britannica, che ha concesso l’autorizzazione alla somministrazione, aveva in mano questi dati?
Mi sembra strano che un’azienda che vende vaccini fornisca i dati all’agenzia inglese, in un paese che conta in tutto meno di 100 milioni di abitanti, e non li fornisca all’Ema, che serve mezzo miliardo di persone.
Questo ritardo quanto può pesare sull’esito della campagna vaccinale in Italia, visto che da AstraZeneca attendiamo ben 40 milioni di dosi?
Non possiamo saperlo adesso, perché è un gioco di incastri. Potrebbe pesare molto se questo ritardo si prolungherà nel tempo e se altre aziende non saranno in grado di compensare questa carenza. Potrebbe pesare poco o nulla se il ritardo sarà transitorio e presto arriveranno le dosi o se Pfizer e Moderna riusciranno a fornire più dosi.
L’immunità di gregge verrà raggiunta ed entro quando?
Per avere l’immunità di gregge ci vuole l’accettazione della vaccinazione da una parte sufficiente della popolazione. In teoria c’è, ma in pratica non sappiamo quanti realmente sono pronti a vaccinarsi. Se solo il 30% degli italiani accetterà di farsi vaccinare e il vaccino rimane solo su base facoltativa, l’immunità non la raggiungeremo mai. Poi dipende da quando tutti i vaccini saranno disponibili, quando sarà completata la vaccinazione, ma anche quanti sono quelli che accettano di vaccinarsi in un regime di facoltatività.
Se resta questo regime di facoltatività, si rende necessaria una campagna a tappeto di informazione e persuasione?
Potrebbero servire tre livelli. Il primo, che propugno con forza e da cui non si può assolutamente prescindere, è proprio questo: senza una campagna informativa corretta, basata su fatti, rischiamo di non andare da nessuna parte. Con Pfizer abbiamo vaccinato diversi milioni di persone nel mondo e creare una buona comunicazione sui dati di tossicità, praticamente pari a zero, aiuterebbe.
Gli altri due livelli?
Sono livelli di cui si parla e che spetta eventualmente alla politica adottare. Il secondo prevede di mantenere la facoltatività, ma chi non si vaccina non può usufruire di determinati servizi. Per esempio: medici che non si vaccinano non possono andare in corsia, perché potenzialmente contagiosi.
E il terzo?
Se non si arriva a un livello da immunità di gregge, bisognerà passare all’obbligatorietà.
Con il Covid quanto ancora dovremo convivere?
Premesso che questo virus fa quello che vuole, tanto che qualcuno lo ha definito un “virus ignorante”, perché decide lui cosa fare, è ragionevole pensare che con il caldo questo Covid, che ha trasmissione esclusivamente respiratoria, ci dia un po’ di tregua, come ha fatto nel Sud del mondo. Occorre però tenere presente che in tutti gli ospedali italiani quest’anno registriamo pochissimi casi di influenza tradizionale e pochissime infezioni respiratorie in genere. A dominare è proprio il Covid.
(Marco Biscella)