Proprio quando la pandemia da Omicron sta contagiando a più non posso, ci sono paesi, la Spagna in testa, ma anche il Regno Unito, che guardano avanti, oltre al tunnel, per immaginare un approccio nuovo, diverso. Con la letalità del coronavirus diminuita nel tempo, grazie anche all’ampia diffusione dei vaccini, il prossimo passo potrebbe essere iniziare a trattare il Covid in un modo più simile a quello che si fa con l’influenza, osservandolo come un’altra malattia respiratoria. Da pandemia a endemia, insomma: ecco l’evoluzione a cui pensa il premier iberico Pedro Sanchez, che vuol proporre all’Europa intera una riflessione su questa transizione. In Spagna ci pensano da diversi mesi e l’obiettivo – come riporta El Pais – “è quello di creare un campione statisticamente significativo distribuito nei punti chiave, come si fa con le indagini per l’influenza, che permetta di calcolare come si diffonde la malattia, la più lieve e la più grave, ma non per mezzo di conteggi esaustivi, quanto per estrapolazioni”.
Un sistema sentinella, composto da gruppi di medici e di centri sanitari, ancora da consolidare, e uno stop ai tamponi a tappeto, mentre nel frattempo “i protocolli hanno già cominciato ad allentarsi e non sono più richiesti i test dei contatti diretti dei positivi se ad esempio non presentano sintomi”. È un passaggio a cui potrebbe accodarsi anche l’Italia? Secondo l’ex ministro della Sanità, Girolamo Sirchia, “non è il momento opportuno per passare da un approccio pandemico a uno endemico, come suggeriscono Madrid e Londra: la prima cosa da fare è capire da che parte va questa pandemia, cosa succederà con la Omicron e se arriveranno o meno nuove varianti migliori o peggiori. Al momento non lo sa nessuno: solo chiacchiere e ipotesi”.
Secondo lei è quindi troppo presto trattare il Covid come se fosse un virus endemico e non più come pandemia così preoccupante?
Qui si discute se passare da una vigilanza assoluta a una vigilanza a campione, ma in un frangente in cui ci sono regioni che stanno per passare in zona arancione, a me sembra un momento poco favorevole per fare questa permuta.
L’idea del governo è sostanzialmente questa: vedere cosa succede agli ospedali quando, tra fine gennaio e metà febbraio, arriverà il picco dei ricoveri da Omicron; se non tracolleranno, si potrà pensare a misure simili a quelle che stanno valutando in questi giorni Spagna e Regno Unito. È un approccio che condivide?
Certo: bisogna seguire con attenzione ciò che avviene qui e ciò che avviene nel resto del mondo. Bisogna collaborare con tutti.
Ma si può trattare il Covid come un’influenza?
Il Covid non è un’influenza. Ci sono aspetti che l’influenza non presenta: prenda, per esempio, il Long Covid o le complicanze legate alle trombosi cerebrali o non. E poi l’influenza fa 15mila morti l’anno, il Covid molti di più.
Ma già la rimodulazione delle quarantene, per far fronte alle assenze sui posti di lavoro, non va in questa direzione?
Noi abbiamo certamente bisogno di salvare l’economia, ridando spazio ai commerci e ai consumi, perché il costo della pandemia è stato molto pesante. Il bisogno c’è, ma – ripeto – va verificato a fondo se è il momento opportuno per fare il salto. Non è comunque questa la prima priorità.
E quale sarebbe?
Bisogna ricostituire e potenziare il sistema di vigilanza anti-pandemie, che a causa dei tagli di spesa operati negli ultimi 10 anni ha subìto dei guai non da poco. Per non parlare poi del Piano pandemico di contrasto alle future infezioni, che non mancheranno: il Piano era stato impiantato nel 2003 per poter avere un sistema di reazione basato su valutazione, gestione e comunicazione dei rischi. Sistema che – forse ce lo dimentichiamo – oggi non abbiamo più e che non vedo ripristinare con la dovuta solerzia. Chi oggi sta studiando un piano di contrasto vero per il futuro?
Secondo l’Ema, la diffusione di Omicron trasformerà il Covid-19 in una malattia endemica con cui l’umanità potrà imparare a convivere. Giusto, allora, aprire almeno una riflessione e cominciare a pensare di individuare in modo strategico sistemi sentinella – gruppi di medici e centri sanitari – come si fa per l’influenza?
Ci sono già, appunto per l’influenza. Ma quale vigilanza? E dove? Inserita come in un contesto di Piano pandemico? Il problema è che il sistema attuale fa acqua da tutte le parti, perché quando non è voluto, non è impostato, né finanziato, va progressivamente in malora. È una vigilanza che va avanti zoppicando: dobbiamo prima di tutto potenziarla, così come dobbiamo rafforzare le azioni di contrasto, adeguando strategie, risorse e personale dedicato.
Perché?
Perché, continuando a devastare l’ambiente, che è il problema dei problemi, le zoonosi sono destinate a moltiplicarsi. Guardi a questi ultimi 20 anni: abbiamo avuto la Sars, la Mers, l’Ebola, ora il Sars-Cov-2. E non è finita.
Il consigliere del ministro Speranza, Walter Ricciardi, ha dichiarato: “La fattibilità di una strategia del genere deve essere confermata da evidenze scientifiche che in questo momento non mi pare ci siano”. È d’accordo?
Sì. Per poter dire che l’approccio endemico sia una strada migliore noi non abbiamo dati per ora, se non che, al contrario, assistiamo a un aumento dei casi. Aspettiamo almeno che si stabilizzi questa infezione, cercando di capire che direzione prende. Può andare verso un esaurimento, come fece la Spagnola dopo due anni e mezzo, e come tutte le altre epidemie del mondo, che sono prima cresciute e poi esaurite?
Sarebbe prima il caso di vaccinare tutta la popolazione, magari accelerando con le terze dosi e imponendo l’obbligo vaccinale per chi ancora non si è immunizzato?
L’obbligo vaccinale in un paese come l’Italia non serve a nulla.
Non crede che tra vaccini e farmaci antivirali già oggi abbiamo le armi per convivere con Sars-CoV-2, minimizzandone il più possibile i danni?
Certo, dobbiamo puntare su questi mezzi, sulla scienza. Ma cosa vuol dire convivere? Non possiamo trattare il virus come una persona, un essere pensante. Il virus, se è virulento, si diffonde e uccide; oppure se ne va via per conto suo, perché le mutazioni lo indeboliscono o i vaccini lo contrastano. E poi il virus fa quello che gli è consentito di fare.
Stop al report giornaliero dei contagi e stop all’allarme per ogni contagio in più che si registra, concentrandosi invece sulle ospedalizzazioni e i ricoveri in terapia intensiva: che ne pensa?
È giusto. Il report giornaliero dei contagi serve solo ad animare i dibattiti in tv, dove dominano le chiacchiere.
Il “tamponificio” degli asintomatici ha ancora senso?
No. Ormai i contatti sono così continui e diffusi, che se uno non ha avuto sintomi né problemi non aggiunge o toglie nulla. Questi strumenti hanno senso nella fase iniziale, quando ci sono i focolai e vanno contenuti. Ma oggi ci sono focolai dappertutto.
Secondo la Fiaso, il 34% dei pazienti positivi ricoverati in ospedali non è malato di Covid, ma viene assistito per altre patologie. Non sarebbe il caso di classificare come casi Covid solo chi ha una polmonite o un grave impegno respiratorio?
Non sono d’accordo, perché il Covid colpisce anche altri organi, non va solo sui polmoni. E il Long Covid, che è una minaccia, come lo classifichiamo? Il Sars-CoV-2 è una patologia che si associa ad altre. Si tratta di malati, anche infettanti, che vanno curati in reparti Covid.
Intanto il 31 marzo potrebbe finire lo stato d’emergenza. Il generale Figliuolo sta studiando un piano – ancora riservato, ma in continuo aggiornamento – per il passaggio di consegne nel momento in cui la sua figura, quella di commissario straordinario, non servirà più. A chi dovrebbe passare il testimone?
Appunto: a chi passerà il testimone? Qual è l’organismo che se ne occuperà? Non stiamo preparando niente. Noi nel 2003 avevamo predisposto il Cdc, il centro di controllo delle malattie infettive, che nel 2011 è stato smantellato. Il generale Figliuolo è bravissimo: o gli si lascia questa responsabilità in modo stabile, e può andare benissimo, oppure si deve ripristinare quello che prima funzionava, perché ci manca uno strumento con il quale l’Italia potrà difendersi dalle pandemie.
Altrimenti?
Ci ritroveremo a dover ricominciare tutto daccapo.
(Marco Biscella)
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