In Italia il consumo “a rischio” di alcol è in preoccupante aumento, hanno riportato diversi quotidiani in questi giorni riprendendo l’allarme della Società italiana di alcologia e dell’Istituto superiore di sanità. Questo fenomeno, già critico in Italia ben prima della pandemia da Covid-19, sta assumendo ora dimensioni sempre più importanti in tutte le fasce d’età e in tutte le categorie anche come conseguenza delle sempre rigide norme di prevenzione del contagio. Secondo l’Iss infatti negli ultimi mesi il consumo di alcol in Italia è salito esponenzialmente fino al 200%. Per essere più precisi, ad aumentare è il consumo “a rischio”, quello cioè che predispone a gravi patologie fisiche e psico-patologiche: i consumatori “a rischio” hanno raggiunto il numero di oltre 10 milioni (tra cui 2,5 milioni di donne). Non meno preoccupante è il numero di minorenni che, tra binge drinking e underage drinking, è salito da 800mila a un milione nel giro di un anno.



Una situazione decisamente critica per la salute individuale e collettiva, di cui si può prendere atto leggendo diversi documenti recenti tra cui lo Speciale Covid-19 nella rivista quadrimestrale Alcologia della Società italiana di alcologia, un documento che merita di essere consultato almeno per due motivi. Innanzitutto perché sottolinea come il lockdown, seppur necessario ai fini del contenimento del contagio da Covid-19 e della salvaguardia della salute, abbia avuto un impatto significativamente negativo sulla salute stessa rinforzando e incrementando comportamenti nocivi come il fumo di sigaretta, peggiori abitudini alimentari, riduzione dell’attività fisica, aumento di “nuove dipendenze” come l’iperconnessione, il gioco on line, il ricorso a sostanze legali (come gli antidepressivi) o illegali (come la cannabis) allo scopo di ridurre gli stati di stress, ansia, tensione e incertezza per il futuro anche lavorativo. Ma anche sostenendo il consumo di alcol: bypassando la chiusura di bar e locali nonché lo stop alla movida, infatti, la vendita di alcolici ha avuto un incremento a tre cifre a livello globale grazie alla vendita on line e ai servizi di home delivery. Aggiungiamo a questo almeno due mesi di isolamento e l’esposizione a un simile consumo di alcol è più che sufficiente per incentivare comportamenti di consumo a rischio e abitudini al limite della grave dipendenza.



Lo Speciale Covid19 citato merita poi un ulteriore approfondimento laddove sottolinea la necessità e l’urgenza di un rinnovamento, a livello organizzativo e funzionale, del modo in cui il nostro sistema sanitario può e deve affrontare il crescente problema alcol in Italia. Le carenze sono diverse ma la più importante delle mancanze riguarda uno dei punti chiave nella lotta all’alcol: la prevenzione, una prevenzione “che manca”, come si titola nello Speciale Covid-19. Soprattutto in un momento in cui l’alcol viene promosso, da un’informazione di mercato fuorviante, addirittura come antidoto al Covid-19 grazie all’azione igienizzante e disinfettante dell’alcol stesso o a quella protettiva fornita dal vino e dalla grappa ai vari sistemi dell’organismo (cardiocircolatorio, immunitario…).



Lo scenario italiano, per quanto riguarda la salute, è insomma cupo. Anche perché all’attenzione per quella fisica non si è mai aggiunta quella per la salute psicologica delle persone, tante volte richiamata anche dall’Oms insieme alla crescente disattenzione nella cura dei disagi psicologici causati anche dalla pandemia.

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