Da sempre, solitudine e alcol vanno a braccetto. Anche le prolungate restrizioni alla vita associata indotte dalla pandemia dovrebbero avere provocato un aumento dei consumi di alcolici. Partiamo da questo presupposto per cercare di capire se la tendenza ad un maggiore consumo di alcol da parte degli italiani potrebbe proseguire anche dopo la fine – prima o poi inevitabile – della pandemia.
Nel seguito, analizzeremo il fenomeno del consumo di alcol da varie angolazioni e si vedrà che non solo il presupposto del maggiore consumo durante la pandemia è errato (si può tranquillamente dire che è stata una fake news scientifica), ma che possiamo addirittura congetturare che il minor consumo di alcolici da parte della popolazione sia un sintomo di una sterzata esistenziale che, avviata con la pandemia, ri-orienti i comportamenti futuri degli italiani.
Esponiamo prima in modo dettagliato i fatti. Alcune ricerche di marketing, tra cui l’indagine periodica Ismea-Nielsen sulla spesa domestica degli italiani, affermano che, nel 2020, le spese per alimentari e per bevande delle famiglie sono nettamente aumentate (+7%) rispetto all’anno prima. Gli italiani, cioè, non potendo mangiare fuori, hanno comprato più alimentari e più bevande, alcoliche e non, al supermercato. In più, la pandemia ha fatto schizzare verso l’alto l’acquisto online di bevande alcoliche (vino, birra, superalcolici): alcune statistiche sui consumatori stimano acquisti dell’ordine del 70% in più rispetto all’anno prima della pandemia.
Una recente ricerca, svolta negli Stati Uniti nel 2020 su un campione non rappresentativo, ha stabilito che il consumo di alcolici, soprattutto tra i giovani, le donne e gli anziani, è aumentato in modo netto. Qualche mese dopo, una ricerca, svolta con metodo analogo dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e dall’Organizzazione Mondiale della sanità (Oms), aveva dato esiti simili a quella statunitense, trovando che la pandemia aveva provocato un aumento nel consumo di alcol “fino al 250%”, senza precisare a quale categoria di persone si riferiva. Subito Facebook aveva diffuso il messaggio ad effetto che, in Italia, “il consumo di alcol in casa era aumentato del 250%”. L’esito concorde delle due ricerche, ripreso purtroppo da quotidiani nazionali, sembrava provare che la pandemia aveva fatto anche questo danno.
Psichiatri e psicoterapeuti, dal canto loro, segnalavano il grave rischio che il vivere in isolamento aveva sugli abusi potatori dei pazienti che avevano in carico. Insomma, varie indicazioni convergevano nel far credere che il consumo di alcol stava crescendo in modo abnorme e poteva ulteriormente aggravarsi con il protrarsi della pandemia.
Al contrario, nello stesso periodo, i produttori di vino lamentavano un calo notevole nel fatturato (circa il 4% in meno rispetto al 2019) e una quota di invenduto altrettanto drammatica. Il primo rebus che dobbiamo risolvere riguarda dunque la fonte di quel vino che, secondo alcuni, gli italiani assorbivano come spugne e che, secondo i produttori, era rimasto invenduto nelle loro cantine. Abbiamo allora fatto una ricerca su fonti scientificamente più sicure di quelle sopra citate e poi abbiamo fatto una ricerca per conto nostro sugli italiani.
La ricerca più sicura è stata svolta dall’Unione europea su 21 paesi europei (Kilian et al., 2021), trovando che, durante il 2020, in ogni paese, con l’eccezione del Regno Unito, il consumo di alcol era diminuito, più o meno significativamente. L’Italia è uno tra i 21 paesi europei nei quali il consumo è diminuito più nettamente (quasi il 25%, secondo un indicatore ponderato ideato dall’équipe di ricerca) rispetto al periodo pre-pandemia.
La nostra ricerca, svolta in Italia verso la metà del 2021, è stata condotta seguendo la buona regola metodologica di fare più domande in successione, con fuochi diversi, per la rilevazione di un fenomeno imbarazzante qual è, appunto, il consumo di alcol.
La prima domanda chiedeva, sostanzialmente, alle persone intervistate di riportare cosa diceva del consumo la gente, gli altri: “Qualcuno dice che, restando più tempo in casa a causa dell’epidemia, le persone hanno consumato più alcolici. Lei che cosa ne pensa?”. La maggior parte (36%) ha affermato di non avere idee a tal proposito, altri hanno detto che, secondo loro, gli italiani avevano consumato più o meno quanto prima (27%), o addirittura meno (6%), mentre il 31% pensava che il consumo era aumentato. Non stranamente, la gente ha risposto come indicavano i mass media.
La seconda domanda era riferita al proprio consumo di alcol. Le risposte ottenute sono descritte nella Tabella seguente, dalla quale emerge che solo un quarto circa degli italiani ha cambiato le proprie abitudini libatorie durante la pandemia, vuoi per il vino o la birra, vuoi per i superalcolici, e che quella minoranza che le ha cambiate riducendo il consumo di alcol supera numericamente l’opposta minoranza che ha consumato più alcol.
Tabella. Distribuzione di frequenza di adulti italiani in relazione all’abitudine al consumo di alcolici. Valori percentuali
Consumo durante la pandemia… | Vino o birra durante i pasti | Bicchierino alla fine del pasto o fuori pasto |
Minore | 13,7 | 20,1 |
Circa lo stesso di prima | 75,4 | 70,9 |
Maggiore | 11,0 | 9,0 |
Totale | 100,0 | 100,0 |
La diminuzione nel consumo è più contenuta se si tratta di vino o birra durante i pasti, è notevole se si tratta di superalcolici fuori pasto. Queste due abitudini rispondono, infatti, a prassi sociali diverse: la prima, quella del consumo durante i pasti, è incastonata nella dieta quotidiana e, se e quando cambiasse, il cambiamento si noterebbe appena, essendo lento e concorde con le abitudini alimentari della famiglia.
La seconda, quella dei superalcolici, riguarda, invece, le eccezioni e le occasioni di consumo. Infatti, una persona che non è abituata al bicchierino dopo il pasto lo assumerà probabilmente alla fine di una cena particolare, o durante un incontro fuori pasto. La minore frequenza di pasti fuori casa è dunque alla base della più netta riduzione nel consumo dei superalcolici durante la pandemia, rispetto al vino e alla birra. È anche possibile che il minor consumo registrato risenta del freno psicologico del condizionamento sociale delle risposte, anche se è probabile che, nel caso in esame, il condizionamento sia meno rilevante che in altri casi in letteratura.
Per capire la ragione del minor consumo di alcolici, facciamo ora l’ipotesi che la tendenza si inserisca in una più generale propensione verso comportamenti salutistici che abbiamo constatato presso lo stesso campione d’italiani. A costoro abbiamo, infatti, chiesto di immaginare come pensano di comportarsi una volta fuori dalla pandemia e abbiamo rilevato che l’obbligo prolungato di rimanere in casa e di limitare al minimo i contatti umani durante la pandemia ha cambiato radicalmente la mentalità degli italiani, tanto da poter parlare di una svolta culturale.
Il primo, grande, cambiamento riguarda il ricorso ad internet per funzioni che prima erano svolte con contatti diretti. Ciò vale sia per acquisti di beni, pagamenti di bollette e home banking, sia per abbonarsi a programmi ricreativi (su piattaforme Sky, Netflix e simili), sia per prenotare servizi che non richiedono l’intermediazione di persone. Insomma, tutto ciò che si può fare da casa, è convenientemente fatto da casa.
Quindi, siamo certi che gli acquisti di vino e liquori via internet non diminuiranno a pandemia finita. Anzi, l’acquisto diretto del vino dal produttore, nei casi in cui si dimostri positivo rispetto a qualità e prezzo, determinerà una specie di fidelizzazione dell’acquirente e orienterà molti più consumatori verso l’acquisto online, piuttosto che verso il supermercato o l’enoteca. Nel tempo, pertanto, è verosimile che si assista ad una ulteriore riduzione degli acquisti nei negozi e, di conseguenza, soprattutto se la fine della pandemia verrà procrastinata, ad una ulteriore diminuzione dei prezzi del vino negli stessi negozi.
Un altro cambiamento di mentalità, che era allo stato latente prima della pandemia e che il confinamento in casa ha reso attuale, riguarda la propensione ad uno stile di vita più partecipato e riflessivo. È diventato di massa il fenomeno del cosiddetto slow lifestyle, il quale ha molteplici manifestazioni, dalla produzione di verdure o erbe aromatiche sul terrazzo o sul giardino di casa, al farsi il pane e la pasta, al preparare conserve, marmellate, yogurt e altri beni di consumo quotidiano, al fare jogging e all’utilizzare la bicicletta o il monopattino in ambito urbano e per tragitti di breve-medio raggio.
L’abitazione e la famiglia sono diventati due microcosmi di grande rilevanza, il luogo e il corpo sociale di minime dimensioni entro le quali le persone investono la maggior parte delle proprie energie oltre al lavoro, svolgendovi la maggior parte delle attività che dedicano a sé stesse e a coloro che amano. Il minore consumo di vino fa dunque parte di questo stile di vita più essenziale?
Invero, alcuni analisti, tra cui l’équipe della Ue sopra citata (Kilian et al., 2021), sostengono che la gente ha consumato meno alcol durante la pandemia perché ha avuto minori possibilità di consumo. Se questo fosse vero, verrebbero meno i presupposti per far rientrare il minor consumo in una dieta ritenuta più salutistica.
Abbiamo già affermato che il minor consumo è conclamato per i superalcolici, i quali, essendo in genere soggetti ad un consumo occasionale, sono stati limitati dalla paura del contagio e dalla conseguente riduzione delle occasioni di socializzazione. Di conseguenza, è verosimile che il loro consumo aumenti appena saremo fuori dalla pandemia. Per lo stesso motivo, una volta che la gente tornerà a socializzare, vale a dire che ci saranno più cene al ristorante e/o presso/con gli amici, il consumo di vino dovrebbe aumentare fino a tornare ai livelli pre-pandemici.
Anzi, per il consumo di alcolici, potrebbe addirittura verificarsi ciò che succede in certi esperimenti psico-sociali nei quali gruppi di persone, per adeguarsi all’esperimento, interrompono una prassi e, una volta terminato l’esperimento, nel “ritornare normali”, dimenticano come si comportavano prima dell’esperimento e adottano prassi molto più intense di prima. Vogliamo dire che non sarebbe assurdo se, una volta uscite dalla pandemia, alcune persone consumassero anche più alcol di prima della pandemia.
Tra l’altro, restano valide certe affermazioni a favore dell’ipotesi di un maggiore consumo durante la pandemia da parte di selezionati gruppi di popolazione. Ha, infatti, fondamento l’affermazione dei terapeuti che la paura del virus e i lockdown hanno peggiorato la situazione delle persone che stavano già male. Così come è vero che certi gruppi (giovani, donne) continuano a consumare sempre più superalcolici e che l’acquisto di vino direttamente dal produttore o dall’imbottigliatore, favorito dall’acquisto da remoto, ha avuto una brusca impennata durante la pandemia e non si intravedono ragioni per cui debba diminuire.
In conclusione, il minor consumo di alcolici che abbiamo constatato durante la pandemia non sembra rientrare, se non marginalmente, nella tendenza sociale verso quella slow lifestyle che la pandemia sembra aver evidenziato.
Non sarà dunque la quantità consumata di vino o birra a cambiare significativamente nel post-pandemia. Ci resta solo la possibilità di verificare se stia diventando più acuta l’esigenza di una loro maggiore qualità. Nella nostra ricerca non abbiamo posto quesiti su questo argomento e dobbiamo fidarci di dati altrui. Secondo una ricerca Mediobanca-Sace-Ipsos, già nel 2020, è, infatti, aumentata considerevolmente la vendita di vini biologici (+10%) e persino di vini vegani (+0,5%). Parallelamente, è in netta crescita (+6%) la vendita in contenitori diversi dal vetro (brick, lattine, bag in box).
Siamo dunque in presenza di un aumento nella propensione al consumo di beni prodotti e commerciati con criteri etichettati come “sostenibili”. L’e-commerce rende la globalità del mercato accessibile al singolo consumatore e permette, anche nel breve termine, la selezione dei prodotti preferibili tra quelli individuati come sostenibili. Tuttavia, se si ipotizza che l’obiettivo finale di questo ambito del mercato sia di accedere a vino di maggiore qualità, è arduo credere che questo modo di cercare la sostenibilità proceda parallelo – e non intersechi, invece, riducendola – la qualità del prodotto. Non solo perché la storia dimostra che c’è una stretta relazione tra imbottigliamento nel vetro e qualità del contenuto, ma anche perché fare buon vino è una scienza e la scienza non si improvvisa.
In definitiva, il rapporto tra il vino e i futuri gusti dei consumatori resta un arcano. Accontentiamoci per ora di sapere che la pandemia non stravolgerà le abitudini al consumo del nettare degli italiani.
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