Secondo uno studio realizzato dai ricercatori dell’University of Queensland in Australia pubblicato in questi giorni dall’autorevole rivista scientifica The Lancet, sarebbero più di 53 milioni al mondo le persone colpite da disturbo depressivo e 76 quelle da disturbi d’ansia causati dalla pandemia.
Dati che si riferiscono al 2020, con un aumento rispettivamente del 28% e del 26%: donne e giovani i soggetti più colpiti. Una ricerca analoga, che sta anch’essa per essere resa pubblica e che riguarda soltanto il nostro paese, a cura dell’Humanitas University di Milano, a cui ha preso parte il professor Giampaolo Perna, Responsabile del Centro di Medicina Personalizzata per i Disturbi d’Ansia e di Panico all’Humanitas San Pio X, presenta dati analoghi: “Abbiamo preso in esame dati relativi alle due ondate di pandemia del 2020 e abbiamo osservato come ci sia stato un aumento di casi nuovi, cioè di persone che prima del Covid non presentavano disturbi, del 16% durante la prima ondata e un nuovo aumento del 18,6% nella seconda, casi che vanno dalla depressione ansiosa e anche ossessiva a quella post traumatica da stress”.
I casi osservati riguardano per la maggior parte i giovani e, secondo Perna, la situazione potrà solo peggiorare, “perché non solo non siamo ancora usciti dalla situazione pandemica, ma questo apparente ritorno alla normalità non viene vissuto in mondo adeguato, bensì con estrema ansia, cercando di recuperare il tempo perduto. E questo, quando si esce da una situazione come quella che abbiamo vissuto, non è certo il modo ottimale di affrontare la vita”.
Avrà visto anche lei i risultati della ricerca australiana pubblicata da The Lancet: che idea si è fatto?
Purtroppo quei dati sono plausibili. Saranno diverse decine di milioni le persone che soffriranno di disturbi d’ansia e depressivi nel mondo in relazione alla pandemia Covid-19 e sarà fondamentale potenziare i servizi per la salute mentale al fine di tutelare e aiutare la popolazione a superare questa situazione così difficile.
Anche in Italia avete assistito a un uguale drammatico aumento di persone colpite da stress, depressione e ansia causati dalla pandemia?
Sicuramente sì, soprattutto da giugno in poi la pressione è diventa molto più forte, sono aumentate le richieste di persone che si rivolgono a noi. Va detto, e questo è importante, che si tratta di persone nuove.
Cioè persone che non avevano mai mostrato questi sintomi?
Esatto. Abbiamo fatto anche noi di Humanitas University uno studio analogo a quello fatto dai colleghi australiani e abbiamo valutato una serie di casi relativi alla prima ondata del maggio 2020 e altri durante la seconda ondata di settembre dello stesso anno. Nella prima ondata abbiamo calcolato una percentuale del 16% di persone che prima della pandemia non mostravano disturbi, nella seconda ondata un altro 18,6% di nuovi casi che vanno dalla depressione ai disturbi d’ansia e poi il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo post traumatico da stress.
Sono percentuali alte?
Sì. I due elementi predittivi dello sviluppo di queste nuove condizioni patologiche sono stati una bassa resilienza prima della pandemia, cioè la capacità di resistere allo stress che ovviamente porta a un aumento dei casi, e, la seconda, essere studenti. I nostri giovani studenti hanno dovuto adattarsi a forti cambiamenti legati alla pandemia, vedendo aumentare il loro disagio emotivo.
Ci sono altri elementi che avete rilevato?
Ci sono due fattori meno forti. Lo stress causato dalla possibilità di diffondere il virus è uno. Chi aveva questa tendenza è andato più facilmente verso una situazione di disturbo, e anche le misure restrittive hanno pesato. Questi sono i quattro fattori che dal nostro studio sono emersi essere legati più facilmente allo sviluppo di un disturbo mentale in chi non aveva avuto nessun disturbo in precedenza.
Personalmente, nella sua professione, cosa ha notato?
Sono esperto di disturbi d’ansia e ho visto una richiesta significativamente aumentata di persone che si sono rivolte a me.
Adesso che sembra stiamo vedendo la luce in fondo al tunnel, ritiene che questi casi siano destinati a calare?
La mia impressione è che i casi tenderanno a salire, non a scendere.
Perché?
Tutto lo stress accumulato da quasi due anni, associato al fatto che non è finita non tanto per la pandemia in sé stessa, quanto in termini di ritorno alla normalità. Questa coda lunga, le persone la sentono soprattutto in relazione alla situazione sociale ed economica, che ancora desta forti preoccupazioni per il futuro.
È giusto dire come adesso lo stress non sia più sanitario, ma appunto dato dalle nuove condizioni di vita, come il green pass obbligatorio o certe scelte del governo? Quanto questi elementi possono influire sullo stato mentale?
Avranno un peso in generale, sicuramente, nonostante la situazione pandemica sanitaria sembri andare meglio. È chiaro che una serie di persone ritardano a fare il vaccino per paura e non necessariamente perché sono no vax. L’ansia si alimenta dall’incertezza e visto che l’incertezza legata alla pandemia, soprattutto alle sue conseguenze a medio e lungo termine non soltanto dal punto di vista sanitario, non è ancora scomparsa, molte persone vivono con la guardia alzata, in allerta e quindi stressati. Il discorso dell’imposizione, al di là del fatto che ci priva di una quota della libertà individuale e può aumentare i livelli di stress, se correttamente applicata, ha una funzione importante nella protezione del mondo del lavoro e scolastico. Quando ci confrontiamo con un cambiamento nella vita, come quello in corso, il comportamento umano si bilancia su due poli opposti: da una parte, il polo della sicurezza a discapito di parte della nostra libertà; dall’altra parte, il polo della libertà e opportunità che può mettere a rischio la nostra vita. Sicuramente il miglioramento, almeno in Italia, della condizione pandemica ci sta permettendo più libertà ma, proprio perché siamo inseriti in un mondo più vasto, la partita non può ancora essere considerata vinta. Stiamo meglio, ma siamo ancora sotto pressione e purtroppo questo avrà effetti negativi sulla salute mentale della popolazione. Il mondo che verrà sarà diverso da quello precedente e dovremo adattarci: questo comporterà un aumento di stress che non tutti saranno in grado di superare così facilmente.
C’è anche l’aspetto economico, a partire dall’ansia di perdere il lavoro?
Sì, durante la fase acuta della pandemia c’è stato il problema della diminuzione del lavoro, adesso che si riparte, la gente riparte per così dire a bomba, come a voler recuperare il tempo perso e questo, quando si sta uscendo da una fase così pesante, non è l’atteggiamento ottimale. Inoltre, la consapevolezza che i soldi non piovono dal cielo e che prima o poi dovremo fare i conti con questa crisi, aumenta i livelli di preoccupazione per il nostro futuro e quello delle generazioni future.
Ha detto che i più colpiti sono i giovani, come mai?
Essere studente in questa fase pandemica ha implicato la didattica a distanza, l’isolamento fisico, il ritardo nelle attività accademiche, la cancellazione delle esperienze formative lontano dalle città d’origine e all’estero che hanno messo in difficoltà molti dei nostri giovani.
Si può dire che sia una generazione che porterà i segni di questa crisi?
Dipenderà da noi adulti. Il vantaggio del giovane è che ha una resilienza straordinaria, una capacità di adattamento molto superiore all’adulto. Sarà compito di noi adulti creare il terreno ottimale per affrontare questo cambiamento al meglio. È una generazione che dipenderà da quello che noi adulti sapremo fare in questa fase.
Cosa cambia per voi professionisti del settore?
Ci sono nuovi strumenti di lavoro, ad esempio la telemedicina. Si può seguire la persona a distanza. Per quanto riguarda la mia esperienza, la stragrande maggioranza viene di persona, anche perché il rapporto umano diretto ha un valore unico. Oggi però abbiamo uno strumento in più, con una efficacia assolutamente ottima in moltissimi casi.
(Paolo Vites)
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