Caro direttore,
in questo tempo di pandemia mi impressiona che, a fianco di un’emergenza sanitaria, si avvertano una vera e propria emergenza emotiva e una rabbia crescente: in realtà, mi pare che siamo segnati dalla paura. L’ansia e la rabbia come sintomo della paura. E la paura nasconde spesso una solitudine enorme.
In particolare mi ha colpito l’inquietudine di una persona che su un gruppo whatsapp si è sfogata, non trovando molto aiuto. L’ho contattata e alla fine di una bella e intensa chiacchierata ne è scaturita la gioia di ringraziarmi per la presenza e l’iniziativa di averla chiamata. C’è grande bisogno di persone che si prendano a cuore gratuitamente la vita di altri.
Il Covid a me pare come una grande lente di ingrandimento sulla realtà. Una di quelle lenti che permette di vedere da vicino, obbligandoci a essere pienamente presenti a quello che accade, alla nostra vocazione, che è la vita stessa. Ci consente però anche di guardare lontano. E per lontano intendo che anticipa “forse” quello che ci aspetta tra 7-10 anni. Parlo in particolare per la Chiesa e per la sfida della libertà che si trova ad affrontare, sfida già intrapresa da Dio dall’inizio della creazione.
«Quando si fa sera, voi dite: “Bel tempo, il cielo rosseggia”; e al mattino: “Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo”. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?» (Mt 16,2-3).
Gesù non voleva occuparsi di meteorologia, ma indicarci il bisogno di persone mature che vivono intensamente il momento presente e ciò di cui è segno: un Dio che non ci abbandona. Di persone che hanno il coraggio di intraprendere una sfida che inevitabilmente non ci lascia mai tranquilli. Di persone che non hanno paura di usare questa lente di ingrandimento.
In questi tempi molte parrocchie hanno recuperato le prime Comunioni, che sono innanzitutto un gesto di fede, ma sempre di più economico, opportunità per il commercio e la ristorazione, duramente colpiti dalla pandemia. Il Covid non ci permette grandi numeri in chiesa e i ristoranti sono chiusi.
Cosa fare? Spostare tutto? Irrigidirci sul calendario? Abbiamo allora deciso di assecondare il desiderio dei bambini e delle famiglie di celebrare la Comunione spezzando il gruppo in due. Uno ora e uno in primavera. Ed ecco la sorpresa: vedere questi ragazzi (cinque, sei, sette per settimana) ricevere il Sacramento della Confessione e accostarsi all’Eucarestia con una intensità straordinaria. Coscienti di quello che stava accadendo, lì per quello che stava accadendo.
Abbiamo bisogno di persone che accettino la sfida di cambiamenti coraggiosi, capaci di essere presenti al nuovo che irrompe nella storia. E mi sembra che questa novità possa accadere nella semplicità di incontri, di gesti sacramentali così antichi eppure sempre nuovi, ma anche negli altri ambiti della realtà: dal lavoro alla politica, dalla scuola alle iniziative contro la povertà crescente. Tutti testimoni luminosi di vita nuova.