È assai difficile ragionare con lucidità quando si è in mezzo a un tifone, dove vola tutto quello che non dovrebbe: automobili, case, semafori, alberi, barche. E soprattutto certezze.
Il Covid-19 ci ha sorpresi e continua a sorprenderci distruggendo intere filiere industriali e commerciali, sovvertendo sistemi sanitari, educativi e informativi, i rapporti tra nonni e nipoti, i viaggi da una regione all’altra, il turismo. E molto altro.
Se è vero che sempre più italiani hanno imparato a lavorare e a studiare da remoto, è anche vero che la mancanza dei rapporti umani si fa sentire pesantemente, e diversi psicologi stanno cominciando a stilare l’elenco dei danni provocati da queste nuove modalità di comunicare.
In questo contesto, la voce onnipresente dell’attuale presidente del Consiglio assomiglia sempre di più a quella del Grande Fratello di orwelliana memoria. Grazie all’escamotage di organizzare conferenze stampa alle 8 di sera, Giuseppe Conte è continuamente presente nelle nostre case, affabulando su qualsiasi argomento per dimostrare la sua indispensabilità.
Agitando la paura del virus, riesce a far dimenticare tutti gli errori fatti durante un’estate passata senza dedicarsi a programmare alcunché, a far digerire tanto la tragicomica telenovela della ricerca del Commissario per la Calabria, quanto le assurde avventure a rotelle del Super Commissario Arcuri. Quando Conte non è in tv di persona, ci pensano adeguati spezzoni del leader al lavoro, del leader che falca a passo di corsa i corridoi del potere, del leader che incontra altri leader, del leader che visita le scuole o i boy scout, pronunciando i suoi immancabili discorsi, in cui lancia spesso annunci di un “nuovo umanesimo” da perseguire.
E poi c’è la stampa che, sovvenzionata com’è dal Dipartimento dell’Editoria del Governo, si precipita a intervistarlo un giorno sì e l’altro pure, con approcci che un tempo venivano definiti “in ginocchio”.
Sottoposti a questa overdose di “neolingua” (è la lingua del Grande Fratello inventata da Orwell, in cui le parole cambiano di significato e vengono aggiornate alla bisogna), sia gli italiani che il loro Parlamento sembrano vivere ipnotizzati e rassegnati a leggere ogni settimana le disposizioni dei famosi Dpcm, decreti che il presidente del Consiglio emana a getto continuo facendo finta di consultare i ministri o i tecnici del Governo. Tanto, in caso di discussioni, si fa sempre quello che dice lui, dato che l’alternativa è lo spauracchio del “tutti a casa”.
L’ultima novità riguarda la gestione degli ipotetici fondi in arrivo (chissà quando) dall’Europa: il Grande Fratello estrae dalla manica una quantità di task force, con decine e decine di manager (che se sono tutti come Arcuri siamo definitivamente sistemati) scelti da lui, e che non rispondono né alle commissioni parlamentari né ai ministeri, ma soltanto a lui.
Coloro che ritengono il richiamo a Orwell solo come a un riferimento letterario, si stanno sbagliando di grosso. Perché scorrendo le pagine del romanzo si scopre una impressionante sovrapposizione di quella realtà distopica con la nostra realtà quotidiana. Il che avviene anche sfogliando le pagine del Mondo Nuovo di Aldous Huxley e quelle de Il Padrone del mondo di Robert Hugh Benson. Alcuni storici, già bollati con la C di complottismo, sostengono che nella prima metà del Novecento i tre autori volessero in realtà mettere in guardia contro il progetto del Nuovo Ordine Mondiale che era già segretamente allo studio in Inghilterra. Ma questa è un’altra storia (non del tutto, però).
Protagonista di 1984 era la manipolazione della comunicazione, esattamente come avviene oggi, ma con una sostanziale differenza: che il Tigellino di turno non ha alle sue spalle un corposo curriculum ad Harvard o all’Insead, ma ha partecipato alla prima stagione del Grande Fratello (quello di Mediaset) ed è riuscito persino a diventare giornalista (il che, oggi come oggi, non vuol dire granché).
Del tutto in linea con il motto che campeggiava sui grandi poster nel romanzo di Orwell “L’ignoranza è forza” (quindi il Manifesto dei grillini ante litteram), la Comunicazione del Governo Conte in occasione della pandemia si è mossa tutta sui binari del terrore da somministrare a dosi quotidiane, salvo una falsa partenza con uno spot di un generico e rassicurante Mirabella che mostrava come ci si lava le mani.
E’ ben presto risultato evidente che il terrore e la paura del virus sono servite e servono a far digerire un perenne stato di emergenza, svincolando il Grande Fratello al Governo dai contrappesi previsti dalla Costituzione. Grandi alleati dell’oramai “uomo solo al comando” sono stati gli anchormen e le anchorwomen finalmente alle prese con qualcosa di drammatico da raccontare tutti i giorni. Per settimane e mesi, in ogni tg, la prima notizia è sempre stata quella del numero dei contagiati e dei morti, pasticciando – senza chiarire – tra contagiati, malati, morti con o per il Covid
Un velo pietoso va poi steso sull’estrema confusione creata dai virologi, diventati i divi del momento ricercati da tutti, e da specialisti e medici di ogni genere disposti a farsi intervistare a qualsiasi ora del giorno e della notte, inclusa la pur simpatica Ilaria Capua, che in realtà è una veterinaria.
Un caso di scuola è quello dell’infettivologo Massimo Galli, che dopo mesi di presenze che definire assidue è un eufemismo, ha annunciato di “avere da lavorare” e di cominciare uno sciopero delle presenze. Ma ha resistito meno di una settimana.
In tutto questo bailamme è totalmente venuta meno una seria regia della comunicazione da parte del Governo su una così delicata materia sanitaria. Anche perché ci è voluto troppo tempo per accettare quello che alcuni medici di base avevano scoperto assai precocemente: se curata subito con normali anti infiammatori, la sindrome da coronavirus Covid-19 non provoca né polmoniti né altro di particolarmente grave. Ma una volta superata una certa soglia di latenza, il ricovero in terapia intensiva – specie se in presenza di patologie respiratorie e cardiache pregresse – costituisce in larga parte l’anticamera dell’esito fatale.
Passati mesi estivi in cui si è continuamente cianciato di ”medicina del territorio”, come se il solo pronunciare questa allocuzione servisse a risolvere o ad esorcizzare il problema, la seconda ondata si è ripresentata con rinnovata virulenza, mettendo in ginocchio interi settori del paese, e condannandoci a dover assistere allo strapotere di un presuntuoso Commissario all’emergenza, con sempre nuovi incarichi nonostante sesquipedali stupidaggini come quella dei banchi a rotelle, per non parlare di mascherine che, secondo le denunce di alcuni giornali, sarebbero state reperite pagando mediazioni milionarie quando non ce n’era alcun bisogno.
Anche le frequenti litanìe dell’incredibile Commissario hanno contribuito alla somministrazione agli italiani di sostanziose dosi di neolingua, continuamente modificata alla bisogna. In tempi antichi, un personaggio del genere lo si sarebbe visto passare ben presto a dorso di mulo coperto di pece e di piume, o almeno a rinfrescarsi le idee alla gogna sulla piazza principale. E invece, ora gli è pure stato dato l’incarico di gestire la distribuzione di vaccini già pronti, ma di cui mancano ancora le certificazioni ufficiali di efficacia e sicurezza.
C’è quindi da stupirsi se con simili personaggi, che il pungentissimo ingegner Forchielli ha definito “scimmie alla guida”, oltre un quarto degli italiani non nutra alcuna fiducia nei tanto sospirati vaccini, motivo per cui la neolingua comincia a far circolare l’ipotesi di una “doverosa” obbligatorietà. Ma della comunicazione sul vaccino parleremo un’altra volta.
Dando un’occhiata in giro per il mondo, si scopre che tutto il mondo è paese, perché tutti gli spot realizzati per invogliare la popolazione a mettere in atto comportamenti di distanziamento e sicurezza non hanno ottenuto risultati. C’è chi ha provato con il terrorismo, chi addirittura con il divertimento, come quello tedesco in cui in una specie di ritorno al futuro un anziano, ricordando i tempi del Covid, riferisce che in fondo i giovani erano stati eroici restandosene semplicemente a casa sul divano. Persino i creativi delle più grandi agenzie sembrano quindi essere stati annebbiati dalla neolingua.
Lo ha dimostrato un giovane esperto di comunicazione postando su Youtube la colossale quantità degli stessi luoghi comuni utilizzati in tutto il mondo da quando è iniziata la pandemia. E, come si dice, se un’immagine vale più di mille parole…