Il Covid-19 è in grado di causare nel nostro organismo tutta una serie di patologie autoimmuni che, in pratica, fanno sì che sia questo ad attaccare se stesso: mentre l’Europa si trova di fronte al primo, grave intoppo della campagna vaccinale di massa e gli esperti di tutto il mondo vedono già all’orizzonte l’arrivo della temuta ‘terza ondata’, sul versante della ricerca scientifica sono davvero interessati i risultati di uno studio di cui ha dato notizia il New York Times e che è stato portato avanti negli ultimi mesi da alcuni ricercatori del Boston Medical Center, coordinati da Nahid Bhadelia che dello studio è anche il firmatario.



Il nuovo Coronavirus sarebbe infatti in grado di ‘ingannare’ il nostro corpo inducendolo a produrre degli autoanticorpi che poi sarebbero i principali responsabili (e non il virus) dell’attacco ai tessuti dell’organismo; questa scoperta spiegherebbe anche perché queste patologie autoimmuni di cui sopra siano così debilitanti e possano avere effetti a lungo termine: da qui anche una possibile spiegazione pure al fatto che in coloro che hanno contratto il virus certe forme di effetti malesseri tendando a manifestarsi pure a notevole distanza temporale dalla guarigione. Nell’articolo apparso sul quotidiano, inoltre, si accenna al fatto che tra le sindromi sviluppate a qualche mese di distanza vi siano ad esempio non solo dolori articolari ma pure alcune forme di demenza.



COSI’ IL COVID ‘INGANNA’ L’ORGANISMO: “INDUCE PRODUZIONE DI AUTOANTICORPI CHE…”

Ma come fa il Covid-19 a mettere in atto questa reazione surrettizia e indiretta, tanto da indurre il nostro organismo ad attaccare se stesso? Leggendo il resoconto dello studio bostoniano, si apprende che gli autoanticorpi di cui viene indotta la produzione sono delle sentinelle ma che a volte non combattono sono i cosiddetti ‘nemici’, e per questo sono pure responsabili di alcune patologie autoimmuni, ovvero quelle in cui si verifica una reazione non corretta del sistema immunitario che per questo motivo comincia ad attaccare i tessuti sani dato che li identifica erroneamente come estranei. Nell’articolo del NYT tuttavia si mette in guardia dal tratte risposte assolute da questo studio che, come sottolineano gli stessi ricercatori, ha riguardato solamente nove pazienti, dei quali solo cinque hanno mostrato questa reazione.



Serviranno dunque altre ricerche e approfondimenti anche perché il tema delle sindromi sviluppate dagli ex pazienti, a oramai più di un anno dal manifestarsi della pandemia, dovrà cominciare a interessare gli esperti di salute pubblica e i sistemi sanitari nazionali che, oltre a dover curare i malati da Covid-19 e le altre patologie, potrebbero trovarsi a dove far fronte a un sovraccarico dovuto a questa sorta di pazienti di ritorno. Se l’ipotesi di studio relativa all’autoimmunità dovesse essere confermata, nei mesi a venire l’infezione da Covid-19 potrebbe essere classificata con maggiore convinzione tra le malattie gravi: d’altronde questa non è la prima ricerca che viene condotta in tal senso; basti pensare ad esempio a quanto scoperto da illustri immunologi che hanno già avuto a che fare con questi autoanticorpi di cui il virus induce la produzione e che si rivolgono contro i tessuti sani e anche contro le proteine che garantiscono la coagulazione del sangue, ma anche contro il sistema immunitario e pure le cellule cerebrali.