Chi scrive è certo che non ha la sfera di cristallo, strumento che a quanto pare più d’un esperto sta usando con eccessiva e discutibile disinvoltura, e senza doti da aruspice risulta difficile prevedere cosa ci attenderà domani, o peggio ancora dopodomani, dal punto di vista della diffusione di questa pandemia.

Lo sguardo alle tante previsioni proposte in questi due anni dovrebbe renderci sufficientemente edotti degli errori che le hanno caratterizzate, delle imprudenze che ci hanno spinto a profetizzare, errori e imprudenze spesso determinate dalla incapacità di riconoscere, dalla non volontà di ammettere, che del virus Sars-CoV-2 sappiamo ancora troppo poco.



Senza sfera di cristallo al massimo si può cercare di fiutare al meglio l’aria che tira alla ricerca di segnali di fumo (meglio sarebbe segnali di arrosto, ma al momento è proprio la “carne” che sembra mancare) che possano indicare la strada, e cioè quello che ci aspetta domani.

Siamo sinceri: ad oggi è oggettivamente impossibile, al di là dei legittimi desideri che tutto possa terminare quanto prima, prevedere quando il virus ci lascerà e in che condizioni ci troveremo. Da questo punto di vista è molto ragionevole l’indicazione di Magatti: “Quando usciremo da questa pandemia non saremo più gli stessi e soprattutto non saremo tutti uguali”.



All’inizio lo slogan era “Andrà tutto bene”, atteggiamento che è risultato indiscutibilmente fallimentare in tutti i settori (sanitario, economico, scolastico, ricreativo…): e non poteva essere altrimenti, aggiungiamo, perché si trattava di una speranza flebile (o forse più di un auspicio, di un desiderio) non fondata sulla realtà e su quello che (non) conoscevamo, ma mossa prevalentemente dal desiderio di dimenticare in fretta le criticità (tragiche) che stavamo vivendo, di passare oltre. Adesso lo slogan è cambiato nella forma perché è diventato “Tranquilli, alla fine sarà solo un’influenza”, ma riteniamo che sia rimasto uguale nella sostanza e nella (insufficiente) motivazione: siamo sicuri che sarà proprio così o non è forse il riemergere dell’esigenza (di nuovo non si sa fondata su cosa) di vedere il bicchiere almeno mezzo pieno e di scacciare i cattivi pensieri? E siamo sicuri che dire che sarà solo un’influenza costituisce un alleggerimento delle conseguenze e una sostanziale rassicurazione per i cittadini?



Da una parte, nonostante l’elevata copertura vaccinale (certo con vaccini che probabilmente non sono ottimali e che necessitano di essere migliorati) alcuni operatori impegnati sul campo richiamano l’attenzione sul fatto che per una quota non irrilevante di pazienti il quadro clinico che si presenta è molto più grave e peggiore di una tipica influenza di stagione, il che ci porta a mantenere necessariamente elevato il livello di attenzione. Dall’altra, uno sguardo numerico agli effetti tipici di un episodio influenzale aiuta a comprendere meglio che dire che sarà solo un’influenza non è una conclusione per nulla tranquillizzante.

Prendiamo i dati da un interessante lavoro pubblicato da Rosano e coll. sulla rivista International Journal of Infectious Diseases (Investigating the impact of influenza on excess mortality in all ages in Italy during recent seasons (2013/14–2016/17 seasons); 2019; 88: 127-134) che riporta l’impatto dell’influenza sulla mortalità nelle stagioni che vanno dal 2013 al 2017 nel nostro paese. Secondo le stime fornite nel rapporto, tra il 2013 e il 2017 gli episodi influenzali che si sono ripetuti avrebbero procurato più di 68.000 decessi: 7.027 nella stagione 2013-2014, 20.259 nel 2014-2015, 15.801 nel 2015-2016 e 24.981 nella stagione 2016-2017. Non sono i circa 150.000 decessi attribuiti al Covid nel biennio 2020-2021, ma possiamo accettare così tranquillamente quasi 20.000 morti in più tutti gli anni?

Dell’influenza stagionale si parla molto poco e nel comune sentore si tende a sottovalutarne gli effetti negativi: ad essere prevalentemente colpiti sono i soggetti più deboli, prevalentemente anziani, spesso già gravati da altre patologie o disabilità, ma non bisogna dimenticare anche gli effetti sull’economia (assenze dal lavoro eccetera). Siamo forse ad augurarci che si scarichi sui più deboli il nostro (legittimo) desiderio di tornare ad una normalità che non sappiamo di cosa sarà costituita? Confidiamo che non sia questa la prospettiva che viene indicata.

Bisogna prendere atto che “La nostra capacità di comprendere a fondo questo virus è ancora limitata” come ci ricorda di nuovo Magatti. Questo deve essere lo stimolo per migliorare la nostra lettura della realtà e non l’occasione per prefigurare scenari che ad oggi hanno mostrato tutta la loro inconsistenza.

Che piaccia o meno, il Covid ci sta restituendo “il senso del grandioso potere che si nasconde nella fragilità delle nostre mani, nell’umiltà dei nostri volti, delle nostre labbra” (Davide Prosperi, “L’era smart e il bisogno di contatti”, Corriere della Sera, 8 gennaio 2022): prendiamone atto e agiamo di conseguenza.

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