Stanchezza, stress, paura: sono gli effetti psicologici della pandemia, campanelli di allarme che servono a proteggerci e che, se non controllati, rischiano di cronicizzarsi portandoci a cedere allo sfinimento o all’indifferenza. Ne abbiamo parlato con il medico psichiatra Giampaolo Perna, responsabile del Centro per i disturbi d’ansia e di panico all’Humanitas San Pio X di Milano e fra i massimi esperti mondiali di disturbi d’ansia.



Nella nostra ultima intervista, davanti alla prospettiva del ritorno di misure di sicurezza e lockdown seppur “soft”, lei diceva che «la paura e lo stress ritorneranno prepotenti accanto al senso di precarietà economica e questo avrà un inevitabile impatto sul vissuto psichico di moltissimi»

Quando ci troviamo di fronte a un pericolo grave come quello indotto dalla pandemia in atto, il nostro organismo e la nostra mente reagiscono con forza per adattarsi e proteggersi al meglio, nella speranza e convinzione che il pericolo possa essere vinto e scomparire rapidamente. Dopo un’estate che ci ha fatto sperare/illudere che la pandemia in Italia potesse essere sulla via dell’estinzione, il prepotente ritorno della stessa, che stiamo vivendo in questi giorni, non solo ha riacceso la paura e il senso di incertezza, ma soprattutto ha messo a dura prova il nostro sistema dello stress che, dopo una fase di grande reattività durante la prima fase, rischia di trasformarsi in stanchezza e scoraggiamento.



Cosa accadrà ora?

Inevitabilmente l’ottimismo dell’estate sta lasciando il posto a un pessimismo e a un fatalismo che può pericolosamente ridurre le nostre energie e la nostra capacità di risposta emotiva e fisica a questo pericolo che si sta dimostrando prolungato e imprevedibile.

Che tipo di impatto si verificherà?

Il timore di un periodo lungo di restrizioni delle libertà con un aumento dei contagi, accanto alla consapevolezza che attraverseremo una fase di difficoltà economica di durata imprecisata, rischiano di tramutare l’ansia in depressione, la paura in esaurimento, l’energia in astenia con il risultato finale di toglierci le forze necessarie per continuare a proteggerci e resistere in questo futuro prossimo che si presenta oscuro.



Quale il modo, i consigli anche medici, per affrontare questo nuovo momento di crisi?

In questa fase molto delicata è importante ritagliarsi spazi di ristoro mentale e tranquillità magari, seguendo il consiglio del grande filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, imparando a “ridivenire buon vicini delle cose prossime”. Accanto a questo, diventa essenziale l’attività fisica regolare che ci dà un senso di sicurezza e ci fa sentire in forma fisicamente e il costante contatto con familiari e amici che possono sostenerci quando ci sentiamo scoraggiati. Quando l’ansia, il pessimismo e l’umore negativo diventano costanti e ci portano a isolarci dal mondo allora è importante chiedere aiuto a psichiatri e psicologi.

Quasi nessuno si aspettava un ritorno di queste proporzioni del Covid. Secondo lei la gente andava preparata meglio a questa possibilità? 

Le decisioni si basano sulla capacità di prevedere le conseguenze di una condizione ed è stata proprio la non conoscenza della pandemia, che ci ha e ci sta colpendo, a rendere molto difficile scegliere le strategie più adatte. Dopo la terribile esperienza della prima ondata della pandemia e del lockdown era inevitabile cercare di rifiutare la negatività appoggiandosi sulla speranza che la tempesta si allontanasse. L’arrivo dell’estate e la riduzione dei contagi in Italia ha alimentato la speranza ridendoci miopi sulla reale portata della pandemia, nonostante in molte altre nazioni fosse evidente che la sua forza non era calata.

È mancato un messaggio chiaro o si temeva di spaventare le persone?

La voglia di normalità e spensieratezza ci ha spinti a vedere e ascoltare le notizie positive diventando sordi e ciechi ai segnali negativi che provenivano da molte altre parti del nostro pianeta. Se questo ottimismo inevitabile era assolutamente plausibile nella popolazione generale come spinta alla normalità e esorcismo alla paura, era ed è compito di chi ci governa andare oltre le opinioni scegliendo un approccio scientifico di analisi dei dati e valutazione dei possibili scenari della pandemia, preparando la popolazione allo scenario peggiore, senza essere catastrofisti o pessimisti.

La paura e l’indifferenza: assistiamo a questi due atteggiamenti. Come rispondere?

Se è vero che il nemico Sars-Cov-2 è tutt’altro che vinto, è anche vero che abbiamo un esercito di ricercatori che stanno sviluppando il vaccino e aumentando le conoscenze sul virus ogni giorno di più. Inoltre, l’intelligenza dei molti clinici che stanno affrontando il COVID ha affinato le capacità diagnostiche e terapeutiche rendendo in moltissimi casi il COVID una malattia curabile precocemente e riducendone l’impatto sul paziente e la sua mortalità. Oggi più che mai dobbiamo appoggiarci sui fatti scientifici e non sulle semplici opinioni e avere fiducia nella forza della ricerca scientifica e dei nostri clinici che sarà sicuramente capace di trovare le contromisure adatte per vincere questa pandemia.

Come si spiegano questi atteggiamenti da un punto di vista psichico?

La paura è la nostra più grande alleata quando ci troviamo di fronte a un pericolo. Tanto più grave è il pericolo che dobbiamo affrontare, tanto maggiori saranno la paura e l’ansia. Questo formidabile sistema di difesa dai pericoli è capace di attivare tutte le nostre risorse fisiche e mentali necessarie per superare il pericolo.

Qual è il rischio?

Il prezzo che la paura e l’ansia ci impongono é un forte senso di disagio e angoscia che possono spingere alcuni a distaccarsi e diventare indifferenti. Se il pericolo persiste e dura lungo, come sta accadendo, allora l’energia della paura e l’ansia possono affievolirsi con il rischio di abbassare la guardia per esaurimento. E abbassare la guardia proprio in questo momento, cedendo allo sfinimento o all’indifferenza, rappresenta uno dei pericoli più grandi perché rischia di ridurre i comportamenti difensivi (uso della mascherine, distanziamento, pulizia dell mani) esponendoci di più al rischio del contagio.

E quindi cosa dobbiamo fare?

Oggi più che mai dobbiamo armarci di pazienza e accettare che la pandemia non scomparirà magicamente. L’inverno si prospetta difficile anche se la speranza di un vaccino efficace e sicuro appare solida e fa ben sperare che possa essere l’ultima fase davvero critica della pandemia. Sta a tutti noi applicare i comportamenti difensivi e protettivi in maniera corretta e non superficiale, non rinunciando alla socialità e alla vita relazionale che è fondamentale per mantenere il nostro equilibrio mentale. In questo momento così difficile, la famiglia diventa uno dei baluardi più importanti per proteggere e preservare la salute mentale di grandi e piccini e in questo senso soprattutto il ruolo delle mamme dovrebbe essere fortemente difeso e garantito dalle nostre istituzioni con sempre maggiore attenzione. Non dimentichiamoci, infine, che davanti ai pericoli può attivarsi un’altra potente emozioni primaria, la rabbia, che facilmente può portare a comportamenti forti, soprattutto, quando ci sentiamo in trappola.

Paura di ammalarsi e incertezza economica: quale delle due è più dannosa per la nostra psiche?

La paura di ammalarsi non è dannosa, anzi ci protegge e ci porta ad applicare i comportamenti più idonei per limitare le conseguenze di questa pandemia. È purtroppo evidente, anche dai dati preliminari dello studio che stiamo conducendo in Humanitas University, che la pandemia ha influenzato negativamente diversi aspetti personali e il benessere psicologico di molti italiani aumentando il livello di conflitto familiare, l’uso di farmaci psicoattivi, i disturbi dell’area ansiosa e da stress. In questo scenario di disagio, il timore di un contraccolpo economico potrebbe diventare un aspetto centrale nei prossimi mesi ed è possibile, se non probabile, che accanto alla paura del contagio si possa sovrapporre, con ancora più forza, la paura di uno tsunami economico capace di sciogliere le certezze costruite in molti decenni di duro lavoro.

Qual è il suo consiglio in merito?

In entrambi i casi la paura deve essere considerata nostra amica perché può attivare tutti i comportamenti più idonei per superare i pericoli che la pandemia porta con sé. Ognuno di noi è preparato emotivamente per affrontare pericoli come questa pandemia, ma è fondamentale che la risposta da stress non diventi cronica, e quindi tossica, esaurendo le nostre capacità di resistenza. È compito delle istituzioni che ci governano e che governano il mondo intero proteggere il nostro sistema di difesa dai pericoli dall’esaurimento, mettendo in atto le strategie più idonee per aumentare il senso di fiducia e sicurezza con decisioni e comportamenti coerenti e credibili.

Nella nostra intervista lei aveva anche detto che «ridurre l’incertezza studiando approfonditamente i dati che abbiamo a disposizione è forse l’unica via per prendere decisioni efficaci». Ritiene che sia stato fatto?

Che tutte le istituzioni abbiano messo una grande energia e impegno in questo periodo molto difficile è indubbio. Non dobbiamo tuttavia dimenticarci che le istituzioni che guidano il nostro Paese sono composte da esseri umani, che sono inevitabilmente emotivi. Paura, tristezza, rabbia, disgusto sono le quattro emozioni che si attivano di fronte a potenziali rischi e pericoli e queste emozioni guidano scelte e decisioni in tutti noi, nessuno escluso. Il pensiero scientifico e critico è l’antidoto più efficace contro la soggettività delle decisioni umane, che spesso sono guidate più dall’atmosfera emotiva che dai fatti.

I messaggi che giungono da parte politica, dal governo, dalle regioni, ritiene che siano efficaci o confusi?

Non penso sia compito mio giudicare la validità del comportamento delle nostre istituzioni, anche perché con il senno di poi tutto diventa semplice, ma forse una maggiore attenzione ai fatti concreti e ai dati piuttosto che alle opinioni avrebbe potuto preparare meglio il terreno al difficile inverno che sembra prospettarsi. Se la chiarezza e la coerenza delle informazioni sono essenziali per ridare sicurezza a una popolazione impaurita e sfinita da questa pandemia, penso che le istituzioni debbano impegnarsi con più attenzione nella comunicazione che ancor oggi non sembra essere sufficientemente chiara e coerente.

Quali sono le categorie a maggior rischio in questa fase della pandemia?

Metterei al primo posto i bambini e i giovani. Un equilibrato sviluppo psico-emotivo dei nostri bambini passa inevitabilmente dal gioco e dal contatto fisico tra di loro e la maturazione sociale e relazionale dei nostri adolescenti e dei giovani adulti trova nell’esplorazione e nel contatto un presupposto essenziale. In questo senso la paura del contagio e le regole di distanziamento sociale, quando diventano prolungate, ostacolano la possibilità di garantire questo aspetto, mettendo a repentaglio la crescita mentale dei nostri bambini e dei nostri giovani.

Come possiamo aiutarli?

Se è vero che il nostro futuro sono i nostri figli e che ognuno di noi sarebbe disposto a “tagliarsi un braccio” per salvare il proprio figlio, allora sia le istituzioni che noi adulti, nel definire le regole protettive dal rischio COVID-19, non possiamo non tener conto del diritto dei nostri figli a una sana crescita psico-emotiva. Trovare il giusto equilibrio tra un rischio accettabile di contrarre il Sars-Cov-2 e la garanzia del livello minimo di libertà di relazione per i nostri bambini e i nostri giovani è un compito tutt’altro che semplice ma che non può essere evitato.

(Paolo Vites)

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