In 24 ore più di 16mila casi positivi, a Parigi il Covid-19 ha colpito 204 abitanti ogni 100mila, metà del paese confinato in zone rosse. In Francia l’epidemia di coronavirus continua a dilagare, tanto che il governo si è visto costretto a inserire diverse grandi città, compresa la capitale, in una nuova lista: le zone “super rosse” con “allerta intensificata” e le “scarlatte” con “allerta sanitaria massima”. Sono state poi annunciate nuove misure draconiane per cercare di contenere i contagi: il divieto di vendere alcolici dopo le 20, un numero massimo di dieci persone per le riunioni e grandi raduni “ridotti” a mille partecipanti, non di più. Ma metropoli come Parigi e Marsiglia si oppongono alle nuove restrizioni. Che cosa potrebbe succedere adesso? La Francia rischia un nuovo lockdown? La strategia di Macron è fallita? Ne abbiamo parlato con Francesco De Remigis, inviato in Francia de Il Giornale.



In Francia l’emergenza coronavirus si fa sempre più preoccupante: in alcuni casi si sono superati anche i 10mila contagi al giorno. Già metà del paese è zona rossa, ma ora a Parigi scatta la zona scarlatta e a Marsiglia il rosso scuro per “allerta massima”. Che cosa significano?

È il vocabolario delle autorità sanitarie francesi. Dacché Macron aveva detto che bisognava ritrovare la gioia di vivere, è cambiato tutto. C’è stata una decisione unilaterale del governo, a cui hanno reagito duramente le sindache di Marsiglia e Parigi. Dicono di non essere state consultate, hanno chiesto tempo. Rubirola (Marsiglia) parla di “stupore e rabbia”, sostenuta dalla regione Provenza-Costa Azzurra che oggi ha presentato ricorso al tribunale amministrativo contro le chiusure. C’è un clima da insurrezione.



E a Parigi?

Anne Hidalgo parla di un “rischio economico immenso”. Se il governo ha dato solo 48 ore di preavviso per quello che a Marsiglia è di fatto un semi-lockdown, con la chiusura totale dei bar su tutto il territorio metropolitano per almeno 15 giorni, nella capitale francese “solo” orari ridotti per bar e ristoranti con serrata alle 22. E da lunedì palestre chiuse, come le piscine, e limite di ritrovo a 10 persone anche all’aperto. Simbolicamente alcuni ristoratori ieri hanno gettato a terra le chiavi dei loro locali, versato intere bottiglie di vino sui marciapiedi per opporsi alla chiusura delle attività. E c’è chi si prepara alla clandestinità come ai tempi del proibizionismo…



Come se ne esce?

Non è semplice, a fronte di una situazione sanitaria critica. Tutte le zone rosse – che sono ormai 69 – vengono considerate “zona di allerta” dove il virus circola attivamente secondo il ministro Olivier Véran, più “chiusurista” di Macron. Poi ci sono le “zone di allerta intensificata”, dove il virus “circola in modo preoccupante”: ben 11 città (tra cui Parigi e periferie, Grenoble, Lille, Rouen, Saint-Étienne, Tolosa, Bordeaux, Lione e Nizza) in cui saranno vietati raduni e altre attività. La terza e ultima tappa è la “zona di massima allerta”, rosso scarlatto, che per il momento interessa solo Guadalupe e appunto l’area di Aix-Marsiglia. Tre parametri determinano il passaggio da uno stadio all’altro: il tasso di incidenza del virus, quello tra gli anziani e il numero di pazienti nelle unità di terapia intensiva. Dopo c’è solo lo Stato di emergenza…

Com’è la situazione negli ospedali e soprattutto nelle terapie intensive?

Siamo intorno ai mille ricoverati in terapia intensiva. Il problema è in due o tre grandi città, oltre che nella capitale. L’Assistance publique-Hôpitaux de Paris (AP-HP), cioè il consorzio pubblico dei 39 ospedali (oltre 8 milioni di pazienti l’anno), dice che a Parigi saranno costretti a effettuare una de-programmazione degli interventi chirurgici a partire da questo fine settimana, a fronte del flusso di pazienti Covid-19 nelle unità di terapia intensiva. I “pazienti Covid” in rianimazione nell’area parigina sono passati da 50 di inizio settembre ai 132 di mercoledì e dovrebbero superare i 200 a fine mese. Per ora è stata smentita una de-programmazione globale come a metà marzo. Si decide caso per caso. Ma i timori crescono a fronte dei 16mila nuovi casi positivi dichiarati ieri in 24 ore.

Sta per arrivare la tanto temuta seconda ondata? E c’è il rischio che la Francia diventi esportatrice del virus in Europa?

All’ospedale La Timone di Marsiglia si parla già esplicitamente di seconda ondata. Non siamo ancora alle punte di marzo-aprile, ma la situazione è davvero preoccupante. Lo dicono i medici. Anche in Francia hanno imparato a trattare il Covid, quindi “solo” il 15% circa dei pazienti viene ricoverato in ospedale. Gli altri sono seguiti a domicilio. La chiusura dei bar, secondo il governo, serve a far correre meno il virus. Ma sui trasporti, come a Parigi, l’assembramento è inevitabile. C’è, è sotto gli occhi di tutti, e i ristoratori non capiscono perché colpire i bistrot. Se a scuola si va con protocolli rigidi, al bar è stato deciso d’imperio che i francesi non sono in grado di rispettare le regole. Quanto di più lontano da ciò che Macron predica da settimane.

Le misure di contenimento del virus, come la strategia test-tracciamento-isolamento poco aggressiva o la decisione del governo di lasciare carta bianca alle amministrazioni territoriali, non hanno funzionato?

A eccezione del dimezzamento della quarantena da 14 a 7 giorni per i casi positivi e i loro contatti, e del reclutamento di 2mila persone in più per rafforzare il tracciamento delle persone contagiate, il premier Jean Castex non ha annunciato sconvolgimenti della strategia per combattere l’epidemia e si è difeso dicendo che chiude i bar perché lì la sera il rischio di contagio è triplo rispetto a un semplice negozio. Il passaggio a un milione di test a settimana ha comportato tempi di attesa troppo lunghi, ma il governo non ha cambiato passo, salvo promettere un rafforzamento dei cosiddetti “circuiti dedicati” e fasce orarie riservate per testare chi ha “priorità”, cioè coloro che hanno sintomi e chi è stato in contatto con un positivo; poi badanti e dipendenti di strutture ricettive per anziani (Ehpad). Altrimenti è necessaria la prescrizione medica, l’unico criterio oggettivo per fare subito un tampone vero e proprio. Per i vari tipi di test c’è ancora confusione. C’è stato un boom i primi giorni nelle postazioni mobili di Parigi. A fronte dell’aumento della pressione sanitaria, ieri il ministro ha detto in Senato che cambierà strategia. Quale, non è chiaro.

Questa recrudescenza dell’epidemia come incide sulla fiducia dei francesi verso Macron?

La fiducia in sé resta alta nei sondaggi. Superiore a quella di Hollande e Sarkozy dopo tre anni e mezzo di Eliseo. Il problema è il suo partito. Se la statistica attribuisce all’azione di Macron il 38% di opinioni favorevoli (rispetto al 36% di agosto, sondaggio Ifop), En Marche è alla notte dei lunghi coltelli. Tra dimissioni, litigi e bocciature, la classe dirigente si è via via sgretolata in Assemblea nazionale. E a livello locale, anche in vista delle regionali dell’anno prossimo, questo è il più grande problema politico dell’Eliseo. Domenica poi si vota per le elezioni senatoriali, un passaggio chiave.

Quindi il Senato rischia di mettere Macron in difficoltà?

Il Senato non può rovesciare il governo, ma garantisce la rappresentanza delle comunità locali della République. Ciò si riflette in un metodo di voto originale: i senatori sono infatti nominati da “grandi elettori”, principalmente funzionari eletti localmente. Nell’estate 2018, quando il Senato decise di aprire una commissione parlamentare d’inchiesta sulla vicenda Benalla, l’ex bodyguard del presidente, ore di udienze furono trasmesse in diretta sui canali all news, mettendo Macron in una posizione di estrema fragilità.

Cosa potrebbe succedere?

“Tallone d’Achille” per il generale de Gaulle, “anomalia democratica” per l’ex primo ministro Lionel Jospin, ritenuto a volte inutile, il Senato conta tuttora 348 membri in carica per sei anni che vengono rinnovati, per metà, ogni tre anni. Se En Marche risulterà evaporato sul fronte locale, Macron si troverà a Parigi con una Camera alta ancora meno amica. Anche sul Covid è stato il Senato a chiedere conto di certe scelte del governo. E di certe gaffe, come quando il ministro della Sanità spiegava che le mascherine non servivano solo perché non ce n’erano abbastanza per tutti. Oggi, invece, punisce milioni di francesi tirando fuori dal cilindro degli scienziati un vocabolario variopinto da cui si evince una cosa soltanto: se la situazione dovesse aggravarsi ancora, la Francia tornerà in lockdown.

@F_D_Remigis

(Marco Tedesco)

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