In Francia, durante un’audizione in Senato, il ministro della Salute, Olivier Véran, ha annunciato ufficialmente quali sono i criteri per arrivare alla revoca del pass vaccinale. E ha espresso ottimismo, indicando una data: circa a metà marzo.

Il ministro ci ha tenuto a ribadire la validità della scelta fatta del pass vaccinale, che ha contribuito alla lotta contro l’epidemia e stimolato la vaccinazione. Ma ha anche comunicato con trasparenza che la revoca del pass è condizionata da tre precisi indicatori: la situazione ospedaliera, il tasso di incidenza e il fattore di riproduzione del virus R.



In concreto, quanto al numero di pazienti, nei reparti di terapia intensiva devono esserci un massimo di 1.500 ricoverati a causa del Covid. Quanto alla dinamica epidemica, sarà necessario che il fattore R sia durevolmente inferiore a 1, con un numero di nuovi casi che diminuisce nel tempo. Quanto al tasso di incidenza (numero di casi a settimana ogni 100.000 abitanti), dovrebbe essere basso, intorno a 300 o 500 massimo. Se questi criteri continuano a evolversi come al momento, “si potrebbe prevedere una revoca del pass vaccinale entro la metà di marzo”. Due o tre settimane al massimo. “Questa è una buona notizia” twitta il ministro. Perché le buone notizie le danno solo all’estero?



Anche in Svizzera, infatti, erano stati annunciati dalle autorità sanitarie dei parametri oggettivi, sulla base dei quali è stato posto fine alle restrizioni. Da giovedì 17 febbraio negozi, ristoranti, strutture per la cultura, strutture aperte al pubblico e manifestazioni sono di nuovo accessibili senza certificato. L’allentamento delle misure di contenimento è stato salutato positivamente e si guarda “con fiducia” al futuro. Grazie a un buon grado di immunità, alla responsabilità individuale e all’esperienza acquisita “possiamo ora continuare a convivere con il virus senza ulteriori provvedimenti”, è stato detto. Va precisato che in Svizzera la percentuale di vaccinati è comunque inferiore alla nostra.



In Italia si parla invece di togliere il green pass solo all’aperto e solo dopo il 31 marzo, poi in estate si vedrà. Quanto alla vaccinazione obbligatoria per gli ultra cinquantenni, si continuerà forse anche oltre il 15 giugno, con connessa sospensione dal lavoro per i renitenti (situazione unica al mondo). Il sottosegretario alla Salute, geometra Andrea Costa, lo ripete spesso: “Dobbiamo essere rigidi, andando anche oltre la scadenza del 15 giugno. Siamo convinti della scelta presa e dobbiamo assolutamente tenere il punto”.

Spalleggiato dai suoi esperti, il ministro Speranza, da parte sua, non perde occasione di ribadire che “il Covid non sparisce il 31 marzo, strumenti come pass e protezioni vanno conservati”.

Walter Ricciardi, consulente del ministro, è per l’emergenza permanente, lo dichiara continuamente. “La pandemia finirà quando cesserà in tutto il mondo”. “Probabile che in autunno la quarta dose di vaccino Covid sarà una soluzione utile per tutti”. Bisogna avere “l’accortezza di mantenere i pilastri che reggono la nostra libertà attuale. Ora è possibile un allentamento delle regole, pur mantenendo in piedi le strutture per la vaccinazione, la rivaccinazione, il green pass e le mascherine per i luoghi chiusi”.

Insomma, per Ricciardi la libertà sta nelle limitazioni della libertà. Che i vari “consulenti” ci provino in tutti i modi a mantenere il loro potere acquisito con l’emergenza, è comprensibile. Dopo aver dettato alla politica la linea da tenere, e dopo che i ministri hanno seguito pedissequamente “quello che ci dice la Scienza”, essere ridimensionati è dura. Ma che la politica continui a farsi condizionare da queste posizioni fondate sull’emergenza perenne, è incredibile. Specialmente nella situazione attuale e guardando agli altri Paesi. A meno che le funzioni del pass siano altre, come qualcuno ormai ipotizza.

In Italia, abbiamo le misure restrittive più pesanti del mondo, fino a comprimere i diritti fondamentali (lavoro, trasporto pubblico locale, accesso agli uffici pubblici, istruzione), un numero di morti sempre alto, nonostante le severe misure di contenimento epidemiologico, e nessuna prospettiva di ritorno alla “normalità”.

Né ministri né sottosegretari hanno mai fatto il benché minimo riferimento ai parametri oggettivi in base ai quali ci si può ritenere fuori dall’emergenza sanitaria, in modo da intraprendere una strada di convivenza col virus e ritornare allo stato di diritto pre-pandemico, nel quale le libertà non sono condizionate all’esibizione di un pass vaccinale.

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