Caro Direttore,

nei giorni scorsi ho avuto l’opportunità di partecipare all’incontro del Club S dedicato a “Covid, guerra, inflazione: da dove ripartiamo?”, che ha visto la partecipazione dell’onorevole Letta, del professor Vittadini e del dottor Comin. Mai, nella storia recente, abbiamo avuto tanto bisogno di momenti di confronto come questo per cercare di coniugare “le necessarie risposte alle crisi nel breve periodo con la costruzione di una prospettiva di lungo periodo”, come ha detto giustamente Gianluca Comin.



Gli anni Venti del nuovo secolo ci stanno dimostrando sempre di più che viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti. Come ha ricordato Enrico Letta, coloro che sono entrati nel mondo del lavoro da una decina d’anni (tra cui il sottoscritto), in poco tempo hanno vissuto l’esperienza e le conseguenze della più grande crisi finanziaria del dopoguerra, della pandemia e ora del primo conflitto in Europa dopo 70 anni. Tre scenari tanto drammatici quanto inattesi, due dei quali arrivati in sequenza e che ormai coabitano: nella vita dei singoli, nell’informazione, negli spazi del discorso politico nazionale e internazionale.



La prima grande lezione da cogliere è la rapidità con cui possono verificarsi tali trasformazioni, di portata globale: “L’esperienza delle grandi velocità è diventata fondamentale nella vita umana”. È una frase tratta da Lezioni americane di Italo Calvino: pur risalendo a oltre trent’anni fa, oggi non possiamo che riconoscere quanto sia valida e confermarla. Ed è proprio perché la velocità è la cifra dominante del nostro tempo che dobbiamo fermarci e riflettere.

La contraddizione è solo apparente. L’unica strada che abbiamo per non farci trovare nuovamente impreparati è proprio questa: recuperare ogni spazio possibile di riflessione, individuale e collettiva, con tutti gli attori della società. Riconquistare, come ha più volte sottolineato Giorgio Vittadini nei suoi interventi, il valore e il contributo dei corpi intermedi. In questo modo avremo davvero la possibilità di cogliere e affrontare i cambiamenti e gli effetti che questi hanno sulla vita delle persone, sulla società, sull’economia. Un passaggio fondamentale per prepararci alle sfide che ci attendono. Tanto più se pensiamo a quanto le differenze sociali e le disuguaglianze siano purtroppo aumentate e continueranno a farlo, anche in contesti in cui ci si aspetterebbe che fossero ormai superate.



C’è bisogno però di proiettarsi nel futuro, portando visione, idee, sfide nuove: solo così sarà possibile andare oltre, creare trasformazioni positive che ci consentano di arrivare più preparati e attrezzati anche nei momenti in cui si verificano fenomeni globali determinati da agenti esterni, che non possiamo dominare.

In questo senso, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza continua a rappresentare un’occasione irripetibile: un’opportunità per misurarci con quello che potremo essere domani, con un’idea di futuro che va costruita oggi. Per farlo bisogna prima di tutto superare l’idea, radicata anche inconsapevolmente in tutti noi, come talvolta nelle istituzioni, che le cose funzionino già per come sono. Spesso si preferisce la conservazione al cambiamento, enfatizzando maggiormente le ricadute negative nel breve rispetto alle prospettive nel lungo periodo. Ma è proprio questo che bisogna contrastare: l’abitudine all’abitudine, lo status quo. Se cambiare noi stessi è già di per sé la sfida di una vita, immaginiamo quanto sia complesso innovare organizzazioni strutturate o addirittura un intero Paese.

Nel privato, tante aziende, tra cui Philip Morris, che sicuramente rappresenta un esempio in questo senso, ma anche interi settori industriali stanno radicalmente trasformando i loro business fino a costruirne di nuovi e, fino a qualche anno fa, inaspettati. È una sfida affascinante, che deve essere costruita insieme: pubblico, terzo settore e privato devono alimentare un terreno di confronto e progettazione comune in grado di ridurre il livello di polarizzazione che caratterizza la nostra società, alimentato da chi guarda esclusivamente al breve termine.

Mi auguro che questi vostri, nostri, incontri si possano arricchire di un dibattito anche sul vostro giornale in attesa del Meeting. Un appuntamento al quale tanti di noi guardano con grande attenzione per le preziose riflessioni che, come sempre, sarà in grado di far emergere.

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