Un nuovo studio sostiene che il Covid ha segni di ingegneria genetica. Nonostante il peggio sembra essere passato per quanto riguarda la pandemia di coronavirus, anche se gli esperti invitano alla cautela in vista di possibili recrudescenze, l’attenzione della comunità scientifica sull’origine del Covid non si è mai spenta. Lo conferma l’ennesimo lavoro sul tema, non ancora sottoposto a revisione paritaria, che getta ombre sull’origine naturale. Lo studio vede coinvolto in primis Alex Washburne, biologo matematico che dirige Selva, una piccola startup con sede a New York che opera nel settore della scienza del microbioma, con un passato da ricercatore preso la Montana State University. Per questa ricerca ha collaborato con due scienziati: Antonius VanDongen, professore associato di farmacologia presso la Duke University, in North Carolina, e Valentin Bruttel, immunologo molecolare dell’Università di Würzburg, in Germania.
I primi due, come evidenziato dall’Economist, sono stati attivi sostenitori di una indagine sulla teoria della fuga del coronavirus dal laboratorio. Questi tre scienziati hanno usato un metodo innovativo per capire se i virus sono stati plausibilmente creati in laboratorio. Infatti, dalla loro analisi, pubblicata su bioRxiv il 20 ottobre, è emerso che l’origine del Covid non sarebbe naturale, perché il virus Sars-CoV-2 ha caratteristiche genomiche che appaiono solo se il virus viene “cucito” con qualche forma di ingegneria genetica, quindi l’origine del Covid sarebbe artificiale.
ORIGINE COVID: LE ANOMALIE NEL GENOMA
Gli scienziati hanno esaminato i siti di “cucitura” presenti in Sars-CoV-2 e quanto sono corti. Partendo dal presupposto che per creare un genoma lungo come quello del coronavirus bisogna combinare frammenti più corti di virus esistenti, per i ricercatori l’ideale sarebbe usare da cinque a otto frammenti, tutti di lunghezza inferiore a 8mila lettere. Questi frammenti vengono creati usando delle “forbici” molecolari che tagliano il materiale genomico in corrispondenza di particolari sequenze di lettere genetiche. Lo studio sull’origine del Covid evidenzia che la distribuzione dei siti di restrizione per due enzimi noti come BsaI e BsmBI è «anomala» nel genoma del virus Sars-CoV-2. Inoltre, la lunghezza del frammento più lungo è di gran lunga inferiore a quanto ci si aspetterebbe. Lo hanno determinato prendendo 70 genomi di coronavirus diversi, escludendo Sars-CoV-2, tagliandoli in pezzi con 214 enzimi di restrizione usati comunemente. Quindi, dalle “collezioni” emerse hanno elaborato le lunghezze previste dei frammenti quando i coronavirus vengono tagliati in un numero variabile di pezzi. Lo studio verrà esaminato nei prossimi giorni dalla comunità scientifica, ma non mancano le prime reazioni. Il professor Francois Balloux, docente di biologia dei sistemi computazioni all’University College di Londra ritiene intriganti questi risultati. «Contrariamente a molti miei colleghi, non sono riuscito a individuare alcun difetto fatale nel ragionamento e nella metodologia. La distribuzione dei siti di restrizione BsaI/BsmBI in sars-cov-2 è atipica», ha dichiarato all’Economist.
REAZIONI SCIENZIATI DOPO PUBBLICAZIONE STUDIO
Di parere diverso è il biologo evoluzionista e virologo dell’Università di Sydney, Edward Holmes, secondo cui tutte le caratteristiche identificate dal documento sono naturali e già presenti in altri virus dei pipistrelli, quindi lo studi non dimostrerebbe l’origine non naturale del Covid. Se qualcuno stesse ingegnerizzando un virus, ne introdurrebbe senza dubbio alcune nuove. Poi ha aggiunto: «Ci sono tutta una serie di ragioni tecniche per cui questa è una completa assurdità». Sylvestre Marillonnet, esperto di biologia sintetica presso il Leibniz Institute for Plant Biochemistry, in Germania, conviene che il numero e la distribuzione di questi siti di restrizione non siano del tutto casuali e che il numero di mutazioni silenziose trovate in questi siti suggerisce che il coronavirus potrebbe essere stato ingegnerizzato. D’altra parte, ci sono aspetti contrari a questa ipotesi, a partire dalla lunghezza minima di uno dei sei frammenti, che non gli sembra logica. Inoltre, afferma che non sia necessario che i siti di restrizione siano presenti nella sequenza finale del virus. Eppure, il professor Justin Kinney, del Cold Spring Harbor Laboratory di New York, ha affermato che i ricercatori hanno già creato coronavirus in passato e hanno lasciato tali siti nel genoma. Quindi, per lui la firma genetica indica un virus pronto per ulteriori esperimenti, dunque tale ipotesi va presa sul serio, ma avverte che lo studio necessita di una rigorosa revisione paritaria.