Superati oggi i 10mila casi di contagio da Covid–19 in Italia: siamo a 10.010, 55 i morti. Il governo mette allo studio nuove misure. In Lombardia nuova ordinanza in vigore da lunedì, con bar chiusi alle 21 e ristoranti aperti fino alle 23. L’evoluzione dell’epidemia, l’urgenza di protocolli chiari per i medici di base, la scuola, come evitare la saturazione delle terapie intensive e le cure, quelle somministrate in ospedale e quelle da fare a casa: ne abbiamo parlato con Massimo Clementi, professore ordinario di microbiologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove è anche primario del laboratorio di microbiologia e virologia.
In un suo studio che fu riportato a fine maggio dal prof. Zangrillo lei diceva che il virus era “clinicamente morto”. Oggi cosa possiamo dire, in proposito, sempre da un punto di vista clinico?
Quello che possiamo dire è, ancora una volta, quello che vediamo. In Italia c’è stata una grossa fase epidemica con una patologia associata all’epidemia di notevoli proporzioni, che ha impegnato moltissimo gli ospedali e le terapie intensive. Dopodiché, anche in virtù delle misure di lockdown che sono state prese, le infezioni sono scese in termini quantitativi e le poche che si registravano avevano le seguenti caratteristiche: una bassa carica virale e una modestissima associazione con patologia grave. Quello è stato il momento migliore della nostra fase epidemica, quando avevamo 200 infezioni al giorno e quasi tutte queste infezioni avevano una carica virale bassa che noi abbiamo oggettivato attraverso alcuni lavori scientifici.
Poi che è successo?
Poi, per una serie di motivi, alcuni dei quali collegati con altri Paesi che sono intorno a noi e che non avevano l’epidemia sotto controllo come l’avevamo noi allora, c’è stato un arrivo di virus dall’estero, sia per persone che sono venute in Italia per lavorare sia per viaggi collegati al periodo delle vacanze. Inoltre in quel periodo c’è stata minore attenzione e c’è stato anche l’errore di non tenere chiuse le discoteche, luoghi che sono serviti moltissimo alla diffusione del virus. In tal modo l’epidemia ha ripreso a correre: questo all’inizio di settembre.
Dopodiché?
Ovviamente non viviamo in una campana impermeabile a quello che accade intorno, quindi con il tempo la ripresa della seconda fase dell’epidemia nei Paesi vicini a noi ha portato al fatto che anche nel nostro Paese ci fosse una sostanziale ripresa, che è quella che registriamo ora. Tuttavia i numeri di oggi non sono paragonabili con quelli di marzo, perché allora facevamo pochissimi tamponi, quasi tutti destinati a persone che si presentavano sintomatiche in ospedale, mentre oggi andiamo a cercare i positivi, li andiamo a cercare attraverso una modalità di tracciamento dei focolai.
Una metodologia efficace?
È una metodologia diversa, più adatta a questo momento, e che ci dà anche una popolazione di soggetti infettati differente. Oggi vediamo molti positivi, i più sono o poco sintomatici o addirittura asintomatici. Sono in prevalenza più giovani, l’età media è molto diminuita rispetto al passato, e sono persone che per il 94-95% hanno pochi sintomi o nessun sintomo. C’è un 5% tuttavia che ha sintomi (ovviamente essendo elevato il numero delle persone diagnosticate come infettate è un numero elevato anch’esso, in proporzione), e che ha bisogno del ricovero in ospedale. È questa parte che preoccupa, perché se dovesse aumentare di molto metterebbe sotto pressione, come sta già iniziando a fare in alcune zone d’Italia, le strutture ospedaliere.
Come mai questa diversa fenomenologia rispetto ai mesi passati?
Probabilmente il virus ha sempre dato molti asintomatici che noi non vedevamo nella fase precedente, focalizzati come eravamo sui malati. È chiaro che adesso potrebbero essere in numero maggiore, si stanno infettando anche fasce d’età che sono molto più resistenti al virus, parlo dei giovani. I giovani si ammalano molto meno perché non hanno cofattori di rischio, hanno cariche virali mediamente più basse e il virus persiste per un numero minore di giorni: tutti elementi che fanno sì che l’epidemia adesso sia diversa. In ogni caso c’è da dire che anche una persona che non ha sintomi trasmette il virus per un certo periodo.
Quindi il virus è mutato o no?
Il virus sta mutando perché si è distribuito nel mondo in diversi tipi, è un virus a Rna quindi è un virus che cambia, però non c’è ancora nessuna mutazione che giustifichi un diverso comportamento del virus nell’ospite.
Rispetto alle misure adottate dal governo lei ha dichiarato che non influiscono se non “in termini decimali”…
Già il fatto che si stia pensando a nuove, aggiuntive misure vuol dire che non ero solo io a pensare che quelle misure potessero influire poco.
Ora si ipotizzano coprifuoco e didattica a distanza per le superiori. Cosa ne pensa?
Per quanto riguarda le scuole io sono contrarissimo al fatto che vengano chiuse e che si faccia didattica a distanza. La scuola secondo me deve essere aperta, devono esserci misure che consentano di controllare la pandemia finché si può, finché non avrà proporzioni tali da essere veramente pericolosa, e nel momento in cui dovesse averle, le misure dovrebbero essere molto transitorie e non definitive, perché noi un lockdown come quello che abbiamo fatto non ce lo possiamo permettere un’altra volta, o moriremo di altro.
Con tutte le persone che hanno perso il lavoro…
Appunto, quello che secondo me sarebbe stato importante fare e che è stato fatto soltanto in parte era potenziare la sanità territoriale, aumentare di numero i medici e i pediatri di base, se non bastavano, e dare loro la possibilità di avere protocolli operativi. Molte persone sono ricoverate in casa, quindi presumo seguite dal medico di famiglia e questo medico di famiglia dovrebbe avere dei protocolli per la loro gestione.
Cos’altro si sarebbe dovuto fare?
Avere una organizzazione migliore per la diagnostica, ad esempio quelle scene con le code di automobili sarebbe meglio non vederle. Abbiamo avuto del tempo per poter organizzare tutto e io credo che si sarebbe potuto impiegare anche per fare qualcosa di più. In altri Paesi, sono stato recentemente in Germania, c’è un tessuto di sanità territoriale che al momento è un po’ più solido del nostro.
Quindi i medici di base non hanno protocolli chiari?
Alcune regioni si sono mosse autonomamente, ma non c’è stato un condiviso modo di informare queste persone e di creare una rete di sanità di base che fosse in grado di fronteggiare quello che è successo. Tutti abbiamo detto: “la sanità di base sarà importante”, “i pazienti non devono arrivare in ospedale”… E poi? Consideriamo che c’è anche un certo numero di ricoveri, soprattutto in alcune regioni, che sono detti ricoveri sociali, cioè persone che vengono ricoverate perché riconosciute positive e che essendo sole o comunque non potendo essere seguite da parenti vicini vengono aiutate a superare questo momento. Mi dicono che in alcune zone d’Italia non sono pochi.
Perché proprio adesso che c’è l’influenza stagionale e le chiamate al medico di base sono maggiori non c’è stato su questo un avanzamento?
Questo non lo deve chiedere a me, ma alla commissione tecnico-scientifica e ai politici. Un’altra cosa. Tutti siamo d’accordo a riaprire le scuole e non ci poniamo il problema dei trasporti? Se le aziende di trasporto pubblico non ce la fanno, ci sono 20mila autobus privati fermi per via del fatto che nessuno fa le gite in questo periodo. Perché non si usano quelli?
Le terapie intensive in che situazione versano?
Direi che ancora siamo in una situazione tollerabile; a parte alcune zone limitate, siamo a poco più di 500 ricoverati in terapia intensiva, mentre a fine marzo eravamo sopra i 4mila, quindi la situazione è ben diversa.
Ma se i numeri dovessero crescere in maniera esponenziale arriveremmo presto a quelle cifre…
Certo.
Il rapporto tra contagiati e morti è cambiato?
Il rapporto tra numero di contagiati e malati (perché poi la terapia intensiva e il decesso sono una diretta conseguenza della malattia) è aumentato. Era intorno al 2% questa estate, adesso siamo al 5%. Più contagiati ci sono, più malati ci sono, e siccome i malati si dividono in diverse categorie ci sono anche quelli gravi. Si dice che oggi i malati sono il 5% dei contagiati, lo 0,5% di questo 5% va in terapia intensiva e in questo 0,5% c’è una consistente mortalità. È la terapia intensiva che va evitata il più possibile. Il professor Zangrillo ha detto una cosa che secondo me è veramente da tenere presente: quando arriviamo con un malato in terapia intensiva, lì siamo stati sconfitti.
Non ci si deve arrivare.
No, i pazienti che hanno bisogno di assistenza medica vanno trattati subito, oggi abbiamo farmaci, sappiamo trattarli, la mortalità si è ridotta anche perché i medici conoscono meglio questa malattia, la affrontano con maggiore disinvoltura e quindi se la diagnosi viene fatta tempestivamente si possono utilizzare farmaci anche molto efficaci.
La terapia standardizzata è solida adesso? Qual è?
Ci sono diversi farmaci che sono stati approvati dagli enti regolatori, anche se oggi ho visto che l’Oms ha detto che il Remdesivir, che è l’antivirale più potente, quello utilizzato anche per Trump e Berlusconi, non poi è così efficace nel ridurre la mortalità. Nelle nostre mani si è rivelato, al contrario, un farmaco molto utile, perché è l’unico farmaco antivirale molto efficace nei confronti del Coronavirus, anche se non è stato inizialmente progettato per questa infezione ma per l’infezione da virus Ebola.
E poi?
Poi si usa il desametasone, che è un cortisonico per ridurre l’infiammazione, e anche delle eparine a basse dosi che riducono il rischio di trombosi, un rischio che si è verificato in qualche caso, soprattutto nei soggetti anziani. A questa combinazione di farmaci presto se ne aggiungeranno altri, perché ci sono in avanzata fase di sperimentazione altri farmaci antivirali, il più potente dei quali è quella combinazione di anticorpi monoclonali che è stata somministrata allo stesso Trump.
In cosa consiste?
Si tratta di un farmaco anzitutto privo di tossicità, perché sono anticorpi umani come ne abbiamo tanti nel nostro organismo (e le terapie con anticorpi umani sono state fatte con tante patologie), e poi colpisce il virus impedendogli di entrare nelle cellule e di infettarle.
Le persone sintomatiche “ricoverate” in casa invece come si curano oggi?
Con un antipiretico e a volte anche con un antibiotico, per evitare infezioni sovrapposte. Facciamo il caso più frequente di una persona sintomatica: due giorni di febbre, qualche sintomo respiratorio minore (un po’ di tosse, un po’ di mal di gola), qualche sintomo simil-influenzale. La cura che viene somministrata, con antibiotico e antipiretico, è più che sufficiente, in quel caso non serve l’antivirale perché il virus si spegne da solo, l’infezione si ferma nel momento in cui il soggetto sviluppa un’immunità nei confronti del virus.
(Emanuela Giacca)