Ormai sono quasi due mesi che i numeri nazionali avanzano con una curva sempre più impennata e incrementi spesso significativi da un giorno all’altro: se il 1° settembre avevamo 978 nuovi casi di positività al virus, il 15 dello stesso mese i nuovi casi erano 1.229, ma il 1° ottobre si era già a 2.548 con 28 decessi; poi 4.619 il 12 ottobre, 7.332 il 14 ottobre per arrivare a 10.010 positivi il 16 ottobre. E anche la mortalità segue andamento analogo: 8-9 decessi/die a settembre, 24 il 1° ottobre, 39 il 12 ottobre e 55 decessi al 16 ottobre. L’indice R0, indicatore di quante persone contagia un singolo infetto, è ormai oltre la soglia di sicurezza di 1, all’incirca a 1,17.



È quindi in corso la seconda ondata che molti si aspettavano, non legata all’autunno, perché il male non ha stagionalità, ma al verosimile impatto della ripresa di scuole, trasporti e attività lavorative. Una ripresa del contagio, ma con il rammarico di aver buttato via un’intera estate a discutere sull’inesistenza del virus, tesi affermata anche da illustri nomi che hanno perfino pubblicato documenti in tal senso.



La ricerca dello scoop, del riflettore più luminoso ha accecato, come sovente in questa nostra civiltà dell’immagine, intelletti anche raffinati, inducendoli ad affermare cose contro ogni evidenza, che ci hanno impedito di marciare compatti per una migliore organizzazione. Un cuneo nefasto di pressione che, di concerto con il de profundis intonato dai gestori di bar, ristoranti, discoteche e stabilimenti balneari, ha costretto i decisori ad aprire, a distogliere lo sguardo e a consentire cose che non andavano consentite.

Alcune considerazioni tra la medicina aperta all’umano e il rigore della quantificazione.



Un raffronto tra questi giorni e quelli di marzo ci induce a dire che la condizione è profondamente diversa e per ora più favorevole, nonostante i numeri del contagio siano più alti. Il virus non è mutato né meno aggressivo: sequenze nucleotidiche pressoché identiche a marzo. È mutato lo scenario: l’esplosione di studi di grande qualità ci ha fatto capire cosa funziona e cosa no. Abbiamo imparato quanto siano salvavita il desametasone, l’eparina, il remdesivir, il siero immune. L’età media ora è 41 anni, diversa da quella pericolosa, per frequenti malattie coesistenti, di marzo (60-65 anni). Ora gli anziani sono iperprotetti anche se le Rsa rimangono strutture critiche. Insomma, pazienti curati molto meglio e che non aspettano 10 giorni a casa prima di un qualsiasi soccorso. Tanti asintomatici sono il portato di un enorme sforzo diagnostico con numeri enormi di tamponi.

Ma su numeri così alti in percentuale c’è chi necessita di ospedalizzazione e si ricomincia a morire con numeri significativi. La criticità maggiore è il rapido e progressivo saturarsi dei posti negli ospedali, si aprono posti Covid nuovi, ma vengono mandati lì i medici degli altri reparti. La coperta è troppo corta a causa della demolizione neoliberistica del Ssn negli scorsi anni e ora non c’è sanità per tutti.

Il fenomeno in corso va studiato, tuttavia, con metodica rigorosa, altrimenti si corre il rischio di screditare l’intera metodica statistica: nei primi mesi era un susseguirsi di stime e previsioni che venivano regolarmente smentite nelle settimane successive, poi si è dimostrato quanto avesse ragione Giuseppe Arbia quando affermava trattarsi di rilevazioni di carattere emergenziale, non estrapolabili a tutta la popolazione, e solo un campione raccolto con metodica rigorosa avrebbe permesso una conoscenza significativa dell’incidenza sulla popolazione italiana.

Questo è stato fatto, infine, con lo studio di sieroprevalenza Istat-ministero della Salute, che ha mostrato, in agosto, una prevalenza di almeno 6 volte maggiore dei dati ufficiali.

La comunicazione in tempo di Covid è un tema che sarà molto studiato per i prossimi anni. Canali nazionali che trasmettono sul Covid h24, per riempire appunto le 24 ore non danno solo un eccesso di informazioni, determinando disinteresse e riduzione dell’emozione: danno spazio a tutto e al contrario di tutto con gran confusione di chi ascolta. Il dibattito intorno alla verità del momento è proprio della scienza e ne è certo elemento fondante, ma se questo dibattito avviene innanzi a un microfono crea il classico clima da post-verità: non esiste il vero e uno vale uno.

Niente di più falso, mentre invece è vero che la democrazia con la ricerca e la scienza non c’entra quasi nulla; ma il messaggio che passa è quello che stiamo vedendo nelle piazze del mondo. Si nega tutto, dalla stessa esistenza alla pericolosità del virus, le norme protettive sono definite liberticide e anti-costituzionali, si allude a segrete trame e complotti globali. Si oscilla dal delirio franco a posizioni di cupo sospetto, ma nessuno che alzi la testa e guardi ai 40 milioni di casi e all’1,1 milione di morti nel mondo. La comunicazione istituzionale non potrà non tenerne conto.

Un cenno in chiusura non può che esser fatto ai nostri giovani, talora irresponsabili, ma eredi di tutto. L’Italia per salvarsi dovrà accedere ai fondi del Next Generation Eu, che tra l’altro la obbligano a una rivoluzione verde e anche blu/digitale. Ma così facendo, si accolla un debito ulteriore che sarà pagato da chi viene dopo di noi. E allora ogni possibile investimento andrà fatto su questi ragazzi, perché possano essere adeguati al mondo che verrà, non solo tecnici ma anche umani, non solo esperti ma anche solidali, periti in algoritmi ma anche flessibili.

In altri termini, occorre fare ogni sforzo perché la scuola possa continuare la sua alta funzione e mettere i nostri giovani in grado di coniugare i dati col pensiero complesso. Non sarà facile, ma è vitale per la competizione prossima ventura in cui noi italiani potremo essere protagonisti o insignificanti.

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