“È una situazione allarmante” afferma il professor Paolo Grossi, direttore delle Malattie infettive dell’Ospedale di Circolo di Varese, e membro del Comitato tecnico-scientifico del ministero della Salute. “In una settimana nel mio ospedale qui a Varese siamo passati da un ricovero di persona anziana allontanata dalla Rsa per motivi di sicurezza, ma non per grave patologia, a decine di ricoveri. Abbiamo sei persone intubate e due purtroppo decedute”. Stiamo tornando alla pandemia di marzo-aprile? Sarà necessario un nuovo lockdown? Per il professor Grossi, che fa anche parte del Comitato tecnico scientifico nazionale, “stiamo studiando ogni possibile soluzione per contenere il diffondersi del virus, senza arrivare al lockdown, perché la vita deve continuare, ma ad esempio a una sorta di coprifuoco notturno. Purtroppo sono i giovani i massimi diffusori di un contagio che in loro non causa quasi nessun effetto, ma che si propaga all’interno delle famiglie colpendo i soggetti più fragili”.



Siamo davvero davanti a una seconda ondata del Covid o piuttosto è sempre la stessa situazione di marzo-aprile? Molte personalità hanno sempre detto che dobbiamo imparare a convivere con il virus, forse questo messaggio non è arrivato alla gente?

In realtà ci sono stati alcuni colleghi che hanno fatto dichiarazioni al di fuori di ogni regola, dicendo che il virus era morto, che aveva perso forza. Questo è un po’ quello che la gente vuole sentirsi dire, soprattutto i giovani, che durante il lockdown sono rimasti chiusi in casa soffrendone. Ma è stato da irresponsabili veicolare questi messaggi, che di fatto hanno determinato quello che adesso sta accadendo.



Quindi è effettivamente una seconda ondata che potevamo risparmiarci?

È vero che la prima ondata non si è mai spenta, però vedendo quello che accade nei nostri ospedali si può dire che c’è una seconda ondata. Le faccio l’esempio del mio ospedale: fino alla settimana scorsa si ricoverava un paziente ogni sette giorni, in genere venivano dalle Rsa che per giuste ragioni di sicurezza li mandavano in ospedale. Non avevano gravi sintomi, venivano mandati qui per non tenerli nelle strutture per paura di contagio. Adesso abbiamo una vera invasione di nuovi casi con decine di ricoveri al giorno. Questo raffigura una seconda ondata rispetto a marzo-aprile in cui eravamo sommersi di pazienti molto gravi, ma quella prima ondata si era andata poi spegnendo.



Grazie al lockdown?

L’estate è trascorsa da noi in Italia con numeri molto contenuti, le terapie intensive si erano svuotate. Adesso invece stiamo osservando di nuovo un numero di casi gravi, nel mio reparto ci sono sei persone intubate e abbiamo avuto due morti in una settimana.  La terapia intensiva si è di nuovo riempita. Senza fare allarmismo la situazione è grave.

Dobbiamo quindi preoccuparci? Come vede l’andamento delle curve?

In Lombardia l’andamento delle curve ci dice che al primo posto c’è Varese, seguita da Milano e poi Monza. Sono curve di crescita esponenziale molto preoccupanti, la gran parte dei soggetti è asintomatica, legata al fatto che facciamo una enormità in più di tamponi, ma quello che allarma sono il numero di casi sintomatici che richiedono ospedalizzazione. Abbiamo di nuovo stravolto l’ospedale, perché non siamo in grado di accoglierli tutti. Il mio reparto da sabato scorso ospita solo persone colpite dal Covid, e c’è un’altra problematica legata a questo.

Quale?

Tutti i pazienti che soffrono di altre patologie non trovano posto. Vengono inviati negli ambienti di specialistica varia dove non ci sono tutte le competenze. La patologia convenzionale non trova risposte e questo non dovrebbe accadere. La Regione giustamente raccomanda di tenere aperte tutte le attività, ma è molto difficile. È un aspetto di cui non si parla, ma crea grossi problemi alla popolazione che ha malattie che non c’entrano con il Covid, come se questo fosse l’unica malattia. Abbiamo trascurato tanta gente.

Crede che il virus sia destinato a circolare come l’influenza stagionale magari depotenziando la sua carica virale?

È molto contagioso se non ci si protegge. Il mio personale e io stesso siamo stati immersi per tre mesi ininterrotti in un ambiente di malati di Covid con l’uso di aerosol che come saprà sparge in giro particelle che creano il massimo di rischio diffusione. Del mio personale nessuno si è infettato. Se uno usa correttamente i dispostivi di protezione, non è così facile prenderlo. Se  uno rispetta le regole elementari, mascherina, lavaggio delle mani, distanziamento, non lo prendi. Neanche se ci vivi in mezzo.

Mi permetta, ma noi cittadini “normali” abbiamo a che fare con l’uso di mezzi di trasporto, spesso affollati, con l’ambiente di lavoro dove le persone non indossano tute o caschi come in ospedale, che dobbiamo fare? Ci aspetta un nuovo lockdown?

A maggior ragione si devono rispettare le regole di sicurezza. La vita deve continuare, abbiamo avuto riunioni su riunioni e le assicuro che non si è parlato di lockdown, al massimo una sorta di coprifuoco notturno. Il problema sono i giovani che si infettano senza sentire sintomi, ma poi contagiano le persone più fragili. Bisogna arrestare la curva dei contagi. Il tanto criticato ospedale nella Fiera di Milano, ad esempio, rappresenta una risorsa straordinaria in caso i ricoveri arrivino a cifre di nuovo insostenibili.

Un’altra ambiguità di cui si sente parlare è che il Covid sia come l’influenza. Sono paragonabili?

È una cosa diversa. Nell’influenza stagionale i morti sono dovuti a complicanze varie. È rara la polmonite da influenza. il Covid invece causa polmonite nelle forme più gravi, colpisce nelle basse vie respiratorie e crea una polmonite severa che uccide. In sostanza induce una risposta esagerata del sistema immunitario, praticamente ci suicidiamo con la nostra stessa risposta immunitaria. Il cortisone, infatti, è l’unico farmaco che ha una reale validità perché spegne questa risposta abnorme del sistema. In attesa dell’agognato vaccino.

(Paolo Vites)

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