In Italia altri 19mila casi positivi. In Lombardia superata quota 5mila contagiati. In terapia intensiva i malati Covid saturano il 15% dei posti letto. In Campania il governatore De Luca annuncia un lockdown generale di 30-40 giorni e chiede lo stop agli spostamenti tra regioni. In Calabria entra in vigore il coprifuoco, in Piemonte scatterà da lunedì e in Sicilia ci stanno pensando. In Liguria Toti parla di “battaglia di Genova”. In Veneto Zaia avverte che si è acceso il “semaforo arancione” e nuove restrizioni sono in arrivo. Cento scienziati lanciano un pressante appello a Conte e Mattarella: servono misure più drastiche subito, entro 2-3 giorni al massimo. Guido Bertolaso che, nel giorno in cui a Milano l’ospedale della Fiera accoglie i primi malati Covid, ammonisce: “così andiamo a sbattere”. L’Iss invita la popolazione a stare a casa, perché “la situazione è grave”. Il cruscotto dell’emergenza sanitaria si riempie ogni giorno di più di spie rosse e di sirene d’allarme. Che cosa ci aspetta? Il lockdown è inevitabile? Cosa possiamo fare per evitarlo? Il virus si è incattivito? Lo abbiamo chiesto a Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.



Nell’ultima intervista ci aveva detto che i lockdown non servivano, ora però siamo al coprifuoco in diverse regioni e De Luca in Campania che ha annunciato un blocco totale di 30/40 giorni. Il secondo lockdown è un approdo vicino e obbligato? Possiamo ancora scongiurarlo?

Rispondo da virologo, perché toccherebbe alla politica fare la sintesi di quel che raccontano i dati scientifici. Ribadisco che in un sistema che rispetta le regole che ci siamo dati, il rischio di un nuovo lockdown è ridotto. Mantenendo il distanziamento, indossando le mascherine ed evitando gli assembramenti, il virus, che si trasmette solo per via respiratoria, noi siamo in grado di controllarlo.



Ma oggi i numeri dicono che sta succedendo un’altra cosa. Perché?

La popolazione italiana, al pari di quel che avviene negli altri paesi, è divisa in due categorie: coloro che stanno attenti a rispettare le regole e coloro che le disattendono. E visto che, come ci hanno ricordato sia il presidente Mattarella che Papa Francesco, non ci si salva da soli, bastano poche persone che non rispettano le regole per infettare tutti quelli che le rispettano.

Questo spiega perché sono state prese le ultime misure drastiche di contenimento?

Decisioni di questo tipo sono purtroppo legate a numeri a loro volta causati da comportamenti sbagliati, perché quelle poche regole sono più che sufficienti.



L’Istituto superiore di sanità invita la popolazione a stare a casa. È una sorta di lockdown pulviscolare?

È lo stesso messaggio ragionevole che ha lanciato la Merkel ai tedeschi: non significa stare chiusi in casa, ma se ci limitiamo ai contatti sociali necessari, non abbiamo bisogno di coercizioni a non incontrarci, cioè il lockdown. Se continuiamo invece a fare assembramenti, poi interviene la coercizione.

Uno studio dell’Università di Edimburgo, pubblicato su Lancet, che ha messo a confronto le misure restrittive adottate in 131 paesi dice che i lockdown servono a poco, mentre risulta molto più efficace bandire gli eventi pubblici. Conferma quello che diceva poco fa, cioè che bisogna evitare gli assembramenti?

Premesso che non ho visto lo studio e quindi preferirei non commentarlo, posso dire che in Italia grazie al lockdown abbiamo passato un’estate serena, poi comportandoci un po’ come cicale abbiamo dilapidato tutto. Ma sul fatto che il lockdown della scorsa primavera non sia servito ho qualche dubbio. Certo, la riduzione degli eventi pubblici nei quali la gente si respira addosso è fondamentale.

Cento scienziati hanno chiesto, in un appello indirizzato a Conte e a Mattarella, “misure drastiche da adottare entro due-tre giorni al massimo”. Abbiamo così poco tempo per arginare la corsa del Covid?

Il principio fondante è che quello che noi stiamo vedendo oggi sono gli infettati di 10-15 giorni fa. Quindi immagino – e ripeto immagino – che i cento scienziati intendano dire: visto che i numeri stanno salendo velocemente, se ci muoviamo entro due-tre giorni fra 10-15 giorni dovremmo avere una riduzione dei nuovi contagi, che andiamo a misurare quando i pazienti sono sintomatici, diventano positivi e questo accade dopo circa due settimane.

Secondo una recente ricerca l’80% dei positivi, compresi gli asintomatici, ha una carica virale altissima. In estate era bassa. Significa che il virus si è incarognito?

Quest’estate sono stato tempestato di domande per sapere se il virus era diventato più buono, adesso la domanda, legittima, è se è più cattivo. Il virus, biologicamente parlando, è sempre lo stesso, non si è incattivito oggi come non si era ingentilito ieri, sono cambiate le condizioni. Vivere all’aria aperta, come in estate, aiuta a diminuire la carica virale che si trasmette da persona a persona. Adesso, che abbiamo chiuso le finestre, abbiamo acceso i riscaldamenti e stiamo nei luoghi chiusi, magari sorseggiando un tè ovviamente senza mascherina, torniamo a generare virus. Però mi lasci dire una cosa.

Prego.

Le cariche virali sono distribuite lungo una curva gaussiana, a forma di campana, in cui c’è una quota minima di pazienti con carica virale molto bassa, un’altra quota minima con carica molto alta e in mezzo ci sono tutti gli altri. Quindi non sono poi così sicuro che l’80% abbia una carica virale alta e tanto meno che l’asintomatico sia così frequentemente infettivo perché stracarico di virus sempre e comunque. Non è così.

Asintomatici e super-diffusori sono i driver dell’epidemia: si intercettano aumentando il numero dei tamponi?

Sì. Più tamponiamo, meglio è.

Che consigli si possono dare per evitare di farsi prendere dal panico andando a intasare i pronto soccorso o a fare la corsa al tampone, creando code e lunghe attese?

Il tampone è lo strumento che ci aiuta a capire se siamo veramente contagiati o no, ma nello stesso tempo non possiamo tamponare 60 milioni di persone alla settimana. Dovrebbe essere un percorso guidato, invece tutti vogliono fare il tampone adesso, subito, anche se il medico non gli ha detto nulla. Quindi l’unico consiglio che mi sento di dare è: seguire i consigli delle autorità sanitarie. Se non si hanno sintomi né evidenze di contatti con persone positive, per nessuna ragione bisogna fare il tampone. Se invece si sono avuti contatti con soggetti positivi e si hanno sintomi riconducibili al Covid, come da protocollo e su consiglio del medico, è giusto andare a fare il tampone. Non si va per paura, altrimenti non ne usciamo più.

(Marco Biscella)

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