Nuovo picco dei contagi, che superano quota 11.700, e nuova pressione sugli ospedali: 7.131 sono ricoverati con sintomi in reparti Covid (+514 rispetto al giorno precedente) e 750 in terapia intensiva: 45 in più nelle ultime 24 ore. Secondo l’ultimo report dell’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari (Altems) dell’Università Cattolica di Roma, “le terapie intensive al momento tengono, grazie all’aumento dei posti letto deciso per decreto”, anche se cala il rapporto tra anestesisti e rianimatori e posti letto (da 2,5 prima del Covid all’attuale 1,6, a causa del difficile reperimento del personale in tutta Italia). Il commissario Domenico Arcuri, invece, punta il dito sulle Regioni: “In questi mesi abbiamo inviato 3.059 ventilatori polmonari per le terapie intensive, 1.429 per le subintensive; prima del Covid le terapie intensive erano 5.179, abbiamo attivato fino a 9.463 posti, ora risultano attive 6.628, dovevamo averne altri 1.600 che sono già nelle disponibilità delle singole regioni ma non sono ancora attive; chiederei alle regioni di attivarle”. Com’è la situazione nelle terapie intensive? Quanto preoccupa il trend dei contagi? In quanto tempo rischiano, se rischiano, di arrivare al punto di non ritorno? Ne abbiamo parlato con Emanuele Catena, direttore di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Luigi Sacco di Milano.
Com’è la situazione al Sacco? Ci sono pazienti in attesa di un letto?
Abbiamo in terapia intensiva 6 posti letto ad alto biocontenimento e altri 10 sono pronti per essere attivati in caso di necessità. I 6 posti sono tutti occupati da giorni. Sono però in netto aumento gli accessi al pronto soccorso: decine di pazienti che arrivano con febbre.
Sono tutti Covid-19?
Per fortuna no, ma se positivi al Covid vengono ricoverati nei tre reparti di malattie infettive, dove già oggi abbiamo più di 60 pazienti su una disponibilità totale di 70 posti letto. Da ieri abbiamo attivato anche i letti di sub-intensiva, cioè di pneumologia. Piano piano l’ospedale sta aumentando i posti letto per coronavirus.
Il trend vi preoccupa?
Visto l’andamento generale, anche i letti di terapia intensiva sono destinati presto ad aumentare.
A marzo-aprile in percentuale quanti pazienti, entrati nei reparti di malattie infettive o sub-intensiva arrivavano alla terapia intensiva?
Grosso modo due su dieci, soprattutto perché i malati arrivavano in pronto soccorso in condizioni molto più gravi, dopo giorni e giorni di febbre alta.
Oggi?
Per ora siamo a uno su dieci, come confermano anche i dati della Società di anestesia. E in più arrivano prima e in condizioni cliniche meno drammatiche rispetto alla prima ondata. Questo spiega perché la mortalità è molto più bassa.
Secondo l’Istituto superiore di sanità la Lombardia è una delle 10 regioni ad alto rischio saturazione di posti in terapia intensiva. È così?
In Lombardia mercoledì avevamo 63 ricoverati in terapia intensiva con una disponibilità di 74 posti letto Covid. Ieri abbiamo toccato quota 109 su 116 posti in 16 ospedali, con altri due nosocomi in attivazione anche se ancora non mettono a disposizione letti. 109 sembra un dato poco significativo, se solo pensiamo ai numeri della prima ondata, ma l’andamento preoccupa. Con dieci intubati in più al giorno, in che condizioni potremmo trovarci tra un mese?
La situazione è difficile ovunque o a macchia di leopardo?
A macchia di leopardo, nel senso che ci sono zone dove registriamo focolai più attivi: alcune aree di Milano, Monza e la Brianza, Varese. Occorre però tenere conto che la distribuzione dei letti di terapia intensiva segue una logica di coordinamento regionale che fa capo al Policlinico: i malati vengono distribuiti e trasportati in altre strutture.
Siamo già a questo punto?
Sì e no. Abbiamo una certa carenza di posti letto su Milano, dove sono ormai quasi tutti occupati e siamo costretti a trasportare qualche malato fuori città. Ecco perché è assolutamente necessario aumentare la disponibilità di letti.
Potrebbe essere utilizzato l’ospedale in Fiera?
La Regione ha intenzione di attivare in Fiera 100 letti di terapia intensiva. È una struttura pensata per fronteggiare un’emergenza.
Arcuri dice che mancano ancora quasi 3mila posti da realizzare anche se il governo ha già stanziato i fondi e le attrezzature, come i ventilatori. Ci si è mossi all’ultimo minuto?
A mio avviso, la verità sta nel mezzo. Se penso al mio ospedale, il Sacco, i posti letto ci sono, eccome, perché in 24 ore si potrebbero attivare altri 30 posti letto.
Dove sta l’intoppo?
Non basta un posto letto, cioè un letto, un ventilatore e un monitor. Attorno a quel letto dobbiamo avere medici, infermieri, ausiliari e anestesisti. L’ostacolo maggiore all’aumento dei posti letto è la difficoltà, diffusa in tutti gli ospedali italiani, non solo lombardi, a reclutare il personale sanitario.
Il trend delle terapie intensive quanto deve preoccupare?
Se le curve dei ricoveri dovessero seguire questo trend esponenziale, cioè con raddoppi ravvicinati, fra un mese potremmo ritrovarci con centinaia di ricoveri in terapia intensiva. La preoccupazione è giustificata. È vero che siamo lontani dai picchi di marzo/aprile, ma si fa in fretta ad arrivarci.
Il presidente dell’Iss, Locatelli, ha dichiarato che “non ci sono elementi per un lockdown, siamo ancora in tempo per invertire la marcia”. Secondo lei, che cosa bisognerebbe fare per non arrivare al punto di non ritorno?
Bisogna agire subito, perché non sappiamo quale sia il punto di non ritorno e quando ci si arriva vuol dire esserci già dentro. Non penso sia necessario un lockdown, ma va prestata attenzione alle misure di contenimento, perché il virus non è affatto cambiato, ha le stesse manifestazioni cliniche, radiologiche e strumentali di marzo.
E quello che vedete oggi sui malati?
Rispetto a marzo/aprile, quando arrivavano in terapia intensiva e resistevano al massimo due o tre ore prima di essere intubati, oggi siamo in grado di garantire il timing giusto del ricovero.
È così importante?
Sì. Bisogna cogliere per tempo il momento in cui è giusto intervenire, quando ci accorgiamo che il malato sta peggiorando il suo respiro e sta imboccando un decorso non positivo. Ecco perché è necessario preparare i posti di terapia intensiva: per garantire l’assistenza respiratoria tempestiva e corretta.
La degenza media può diventare più breve?
Attenzione: quando i malati passano attraverso la terapia intensiva, vengono assistiti nella parte acuta. Noi garantiamo un sostegno alle funzioni vitali affinché il peggio della manifestazione della malattia si riduca e il malato torni a respirare da solo. Questo però non vuol dire che il malato sia guarito, il decorso del Covid è lento. Quindi, a fianco della terapia intensiva devono funzionare al meglio anche le unità sub-intensive e le riabilitazioni.
L’Oms ha bocciato il remdesivir, che sembrava uno dei farmaci più efficaci. Un’arma in meno per combattere il Covid?
Allo stato attuale, più che il remdesivir, i due farmaci decisivi sono il cortisone, usato come anti-infiammatorio, e l’eparina a basso peso molecolare, che aiuta a prevenire le embolie polmonari. E sui farmaci, come sui dispositivi di protezione individuale, non abbiamo problemi di scorte né di approvvigionamento.
C’è la paura di dover sopportare tutta la fatica e l’angoscia già provata con la prima ondata?
L’impatto psicologico di quell’esperienza è purtroppo ancora vivo. Sappiamo che ci aspetta un inverno impegnativo, ma speriamo di essere più preparati e questo ci aiuterà.
(Marco Biscella)