Per via della circolazione del coronavirus, delle lungaggini sui tamponi, della fragilità del proprio sistema sanitario, della scarsa disponibilità di terapie intensive, della debolezza della medicina territoriale e della quasi saturazione degli ospedali, la Calabria è “zona rossa” dall’ultimo 6 novembre. Lì si è appena dimesso il commissario alla sanità regionale, Saverio Cotticelli, nel dicembre 2018 voluto per imporre rigore e legalità dall’allora ministra della Salute, la deputata M5s Giulia Grillo. Nel contempo il presidente Giuseppe Conte ha scritto su Facebook: “Cotticelli va sostituito con effetto immediato. Anche se il processo di nomina del nuovo commissario prevede un percorso molto articolato, voglio firmare il decreto già nelle prossime ore: i calabresi meritano subito” il sostituto. Che ieri sera il Cdm ha già provveduto a designare: si tratta di Giuseppe Zuccatelli, commissario alle due aziende ospedaliere di Catanzaro.
Il programma Rai Titolo V è stato a riguardo determinante: ha mostrato urbi et orbi la serafica flemma dell’ex generale dei carabinieri Cotticelli, già capo dei Nas, cui l’intervistatore aveva chiesto conto del piano regionale anti-Covid e domandato quanti posti di terapia intensiva fossero stati attivati in Calabria, a fronte degli stanziamenti dell’esecutivo Conte. Lo stesso commissario governativo ha poi “dato i numeri” in faccia alle telecamere: ha fornito risposte claudicanti ed imprecise, chiedendo infine aiuto alla sua vice, Maria Crocco, che prima gli aveva raccomandato: “Tu devi andare preparato in tv”.
Dopo gli oltre 130 morti con il virus, l’indice Rt sopra 1,8, il “Doc” di “zona rossa”, le polemiche, le manifestazioni di piazza da Cosenza in giù, la paura della comunità calabrese, l’incertezza sui dati dei positivi, la rinuncia al tracciamento dei contatti e l’anomala sospensione del bollettino giornaliero dettagliato per Comune, la scena lascia sbigottito chicchessia, seguita dall’intervento dell’“usciere” Saverio Mosciaro, in realtà componente della segreteria del dipartimento regionale Tutela della salute, che con sicurezza titanica ha chiarito a Titolo V: “Sono 161 i posti letto in terapia intensiva”.
Ma come, il commissario Cotticelli non sapeva e il sedicente usciere Mosciaro invece sì? E la Crocco può ritenersi immune da responsabilità, se nelle scorse settimane i vertici e i primari del Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria, l’unico dei 4 hub regionali organizzato a modo contro il Covid, le aveva contestato l’uso di algoritmi circa la determinazione del fabbisogno di personale sanitario, giusto in un momento di necessità, crisi e sbandamento generale, peraltro acuito dalla scomparsa prematura della presidente della Regione, Jole Santelli?
Nel marzo 2020 la presidente regionale ricevette la delega di Protezione civile per gestire l’emergenza Covid. I deputati M5s Francesco Sapia e Giuseppe d’Ippolito contestarono la scelta del capo Dipartimento, Angelo Borrelli, sostenendo che in una regione con la sanità commissariata si dovesse per forza incaricare il delegato del governo, dunque Cotticelli. Il 27 ottobre scorso un parere ministeriale informava il commissario alla sanità calabrese dell’obbligo di stilare il piano di contrasto dell’epidemia. A voce l’aveva già anticipato, il 9 settembre, il commissario nazionale per gli Investimenti, Domenico Arcuri, che soltanto dal 3 novembre autorizzava i bandi per l’aumento dei posti di terapia intensiva.
Nel mentre il responsabile regionale della lotta al Covid, Antonio Belcastro, distingueva tra intubati e non intubati in merito al discusso ritocco del dato dei ricoverati in terapia intensiva, in una serata passati da 26 a 11, proprio alla vigilia dell’entrata in vigore del nuovo Dpcm a firma Conte. E a stretto giro lo stesso Belcastro comunicava che le aziende del Servizio sanitario regionale avevano speso metà dei 18, sui 45 milioni complessivi, inviati in primavera dal governo per fronteggiare la pandemia. Il che fa a pugni con quanto dichiarato giorni prima dal sostituto presidente della Regione, il leghista Nino Spirlì, per cui i fondi erano stati spesi tutti.
Poco importano le contraddizioni, a queste latitudini. Come quella del rettore dell’Università di Catanzaro, che nei giorni scorsi ha bloccato, secondo Giuseppe Zuccatelli, commissario della collegata azienda pubblica della salute, un sopralluogo tecnico funzionale ad attrezzare posti letto per pazienti Covid nel padiglione C del policlinico dell’ateneo. Eppure questa struttura, denunciarono i parlamentari Sapia, D’Ippolito e Paolo Parentela, “non ha il Pronto soccorso, non fa emergenza-urgenza ma riceve dal 2012 un corrispettivo regionale di decine di milioni di euro superiore a quanto consentito dalla legge”.
Per la sanità calabrese il Consiglio dei ministri ha già approvato un secondo decreto legge; il primo, con scadenza a 18 mesi, era stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 2 maggio 2019. Il fatto ha prodotto aspre critiche da parte di diversi esponenti del centrodestra regionale.
In Calabria, che ha due aziende sanitarie – Reggio e Catanzaro – sciolte per infiltrazioni mafiose, la tutela della salute sembra impossibile, irraggiungibile. Il bilancio annuo della sanità regionale è di 3,5 miliardi, con cui secondo l’ex primario della chirurgia ospedaliera di Crotone, Giuseppe Brisinda, ritornato al Gemelli di Roma, si può fare tanto, a patto che “la somma sia gestita da persone capaci e pulite”. Giuseppe Nanci, medico di famiglia dell’associazione MediAss, ripete che “il fondo sanitario regionale è insufficiente, perché lo Stato ripartisce le risorse secondo un criterio sbagliato, che non considera i dati territoriali relativi ai pazienti cronici, bisognosi di farmaci e visite a carico della Regione”. Così, secondo Nanci “alla Calabria mancano ogni anno 150 milioni di euro e il disavanzo, che passa i 100 milioni, lievita anzitutto per questo motivo, prima che per gli sprechi e gli imbrogli risaputi”.
Oltre che con l’avanzata imperiosa del Covid, la Regione deve misurarsi con un’amministrazione provvisoria e ridotta a causa della morte improvvisa della presidente Santelli. Nella confusione del periodo, tra lockdown, commissariamenti e limitazioni varie, le imprese, gli autonomi e le famiglie calabresi rischiano di diventare ancora più poveri, più disperati, più soli. E per ora i malati senza Covid non possono nemmeno partire in cerca di speranza.