Il Covid era in Italia almeno dal gennaio 2020. Nello stesso periodo il virus Sars-CoV-2 è arrivato in diverse aeree di Europa e Stati Uniti. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Nature dal gruppo guidato dal fisico italiano Alessandro Vespignani, direttore del Network Science Institute della Northeastern University di Boston. Il 19 gennaio potrebbe essere arrivato in California, il 2 febbraio a New York. L’inizio della pandemia Covid è passato inosservato proprio perché è stato silenzioso e non c’è stata la campagna capillare di test che avrebbe consentito di arginare tempestivamente il Covid. Non è stato semplice per i ricercatori ricostruire i primi passi della pandemia, infatti hanno dovuto analizzare migliaia di scenari, ma un algoritmo ha individuato quelli più probabili.



Non abbiamo simulato una sola epidemia, ma tantissime possibilità, centinaia di migliaia di possibili evoluzioni”, ha spiegato l’epidemiologo computazionale Matteo Chinazzi, tra gli autori della ricerca. All’Ansa ha spiegato che questo è stato il punto di partenza per calcolare “la probabilità del periodo in cui in Italia possa essere avvenuta la trasmissione dei casi in modo autonomo, e non più da importazione”.



“TRASMISSIONE COMINCIATA TRA 6 E 30 GENNAIO 2020”

Gli studiosi hanno usato un modello che ha consentito di simulare l’evoluzione dell’epidemia Covid su una scala globale. Hanno usato anche dati come la distribuzione della popolazione e gli spostamenti giornalieri dei viaggiatori tra città e paesi diversi. A queste informazioni sono state poi aggiunte quelle relative alle restrizioni di viaggio e flussi. I risultati hanno evidenziato le possibili date, che sono frutto di un calcolo di probabilità. Dunque, il periodo tra il 6 e il 30 gennaio 2020 è quello più probabile in cui è cominciata la trasmissione del coronavirus interna all’Italia. “C’è una probabilità molto bassa, ma non nulla, che la trasmissione possa essere iniziata a fine dicembre 2019”, ha osservato Matteo Chinazzi all’Ansa. Questo studio ha evidenziato anche che una tracciamento capillare e precoce avrebbe potuto arginare l’epidemia. “All’inizio molti casi che si stavano sviluppando localmente non sono stati visibili per la mancanza dei test e per i criteri troppo particolari utilizzati”, ha proseguito l’esperto.



Infatti, all’inizio i test erano previsti solo per chi era stato a contatto con persone che arrivavano dalla Cina. “Se i criteri iniziali fossero stati più ampi sarebbe stato possibile identificare focolai locali e controllare meglio l’epidemia”, ha aggiunto Matteo Chinazzi all’Ansa. Dunque, tale analisi fornisce due lezioni utili per il futuro: in primis, tale ricerca potrebbe essere usata con altri modelli, come quelli che ricostruiscono l’evoluzione genetica dei virus e la diffusione. Inoltre, sottolinea l’importanza dei test. Bisogna “avere la capacità di misurare sul campo i casi in circolazione con criteri più generali di quelli che sono stati adottati all’inizio della pandemia”, ha concluso l’esperto.