Sono 13 le varianti di coronavirus presenti in Italia. I ricercatori che le hanno scoperte le chiamano “hidden reservoirs”, cioè ricettacoli nascosti, rimasti dopo il lockdown che non ha fermato la circolazione di Sars-CoV-2, ma l’ha limitata fortemente. A scoprirle è stato il gruppo di ricercatori italo-americani-brasiliani coordinati da Massimo Ciccozzi del Campus Bio-Medico di Roma e Davide Zella dell’Institute of Human Virology di Baltimore, nel Maryland. Lo studio, che è stato inviato a Nature, è stato pubblicato nel frattempo su medRxiv.



Dalla loro analisi, che risulta coerente con i dati epidemiologici, è emerso che questi piccoli clusters di varianti italiane di coronavirus, non introdotte dall’esterno e non identificate dopo la prima fase, si sono allargate e mescolate, poi sfruttando la grande mobilità delle persone, tra cui molti asintomatici, hanno avviato la seconda ondata invadendo tutto il territorio nazionale. Secondo Antonio Cassone, già direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Iss e ordinario di Microbiologia all’Università di Perugia, il modello usato dai ricercatori per questo studio suggerisce due cose.



CORONAVIRUS, 13 VARIANTI OPERANO IN ITALIA

In primis, che i lockdown, anche se estesi e perfettamente implementati, non eliminano la circolazione del virus, ma questa è una conclusione «abbastanza scontata», afferma Antonio Cassone, membro dell’American Academy of Microbiology. La seconda conclusione, che invece è meno ovvia ma comunque largamente discusse, riguarda le priorità vaccinali. «Se infatti si vuole dare un colpo al virus prima che si raggiunga l’immunità di gregge, sarebbe opportuno continuare a ricercare i piccoli focolai “nascosti” e vaccinare le persone che nutrono questi focolai», ha dichiarato sulle colonne di Repubblica.



Intanto in Inghilterra prosegue il dibattito sulla nuova variante di coronavirus che è stata individuata in almeno un migliaio di casi Covid. Pare che sia predominante nel Sudest e che il cambiamento principale riguardi la proteina Spike, quella usata da Sars-CoV-2 per attaccare le cellule. Ma non ci sono informazioni dal punto di vista biologico che possano giustificare un allarmismo, come peraltro nel caso delle varianti scoperte in Italia, in quanto è un fenomeno ben noto agli scienziati.