È bastata una tragica malattia per fare emergere una drammatica realtà: nel cuore più nero e più diffuso d’Italia, il confronto tra le diverse Regioni non si svolge per le linee integrative e solidaristiche previste dalla Costituzione; nel profondo, gli italiani guardano a se stessi in modo primitivo, etnico, razzista, ricco di pregiudizi, di alibi, di egoismi.



Dopo aver fatto della Lombardia l’untrice d’Italia, adesso si vorrebbe trasferire l’alloro pestifero alla Sardegna. E come nel primo caso non si è pensato di verificare le procedure messe in atto per difendere il Paese da ciò che avveniva in Cina e si è iniziato il racconto della storia da Bergamo e Brescia e non dall’asse Roma-Pechino, adesso si vorrebbe patibolare la Sardegna e non i migranti del turismo satollo, quelli che non riescono a vivere se non in branco e sballati, e non la forza politica con cui il governo ha dichiarato inutili gli stessi controlli che oggi afferma solennemente come necessari.



L’Italia è una e indivisibile, ma si articola in branchi, tifoserie, oscillazioni randagie, linciaggi e pentimenti. E lo è perché si è preferito che fosse uno Stato tenuto insieme dai Carabinieri e dalla Magistratura, scorribandato dalla Guardia di finanza e dai suoi arresti facili ed eclatanti, piuttosto che uno Stato tenuto insieme dall’educazione, dalla cultura, da una costituzione federalistica che riconoscesse le diversità di interessi, di storia e di diritti, da un fisco giusto, da un equilibrio sapiente tra l’area mediterranea e insulare e quella alpina.

L’Italia branchista è l’Italia del bipolarismo forzato, degli elettori privati di ogni possibilità di scelta dei candidati al Parlamento, dei partiti schizofrenici tra populismo e riformismo, della progressiva riduzione dei diritti individuali a favore dei poteri degli apparati, delle scuole trasformate in fabbriche delle competenze e non della comprensione e dell’educazione, delle università professionalizzanti a esercitare tanti mestieri ma imbecillizzanti quanto al dovere di capire.



È l’Italia delle semplificazioni, delle banalizzazioni televisive elevate a sistemi di pensiero, del fare tutto ciò che si può e non ciò che è giusto. È l’Italia del tifo: l’importante è stare almeno dentro una curva, non essere sorpresi da soli a fare ragionamenti che nessuno vuol più sentire.

È bastata dunque una terribile malattia per svelare come tante dichiarazioni di correttezza, solidarietà, cultura e coesione sociale siano praticate solo in tempi di opulenza, salute e tranquillità.

In tempi di disgrazia, sembra che anche la semplice educazione si volatilizzi, non solo la logica e la ragione, ma anche i costumi civili appresi sin dall’infanzia o corretti con una lungo apprendistato.

Beppe Fenoglio usò un prestito per definire certa gente di poche convinzioni, ma di braccio e gambe veloci, che si aggirava nella nebulosa della guerra civile del 1943-45: besprizorni. In russo significa “giovani randagi”, erano gli avi dei turisti volgari di oggi, chiassosi, indifferenti, raminghi e predatori, in genere benestanti (e spesso cattivissimi pagatori), che hanno l’idea che l’estate essi abbiano diritto alle bardane, alle spedizioni in terre d’oltremare, per poi tornare civili laddove la civiltà è garantita da altri e non dalle loro abitudini.

Il problema non è dunque la Sardegna, ma l’esistenza di queste sacche predatorie e di pratica pulsionale libera, che rappresentano il mercato di un determinato segmento di imprese, quelle dell’intrattenimento. Queste, tra il rischio di rimanere con entrate molto basse nel 2020 e il rischio pandemico, hanno scelto il secondo, convinte da se stesse, in una sorta di training autogeno della partita doppia, che la malattia non esista. Un moralista commenterebbe: “Egoisti, criminali!”.

Se però si guardano le cose non da troppo vicino, ma da adeguata distanza, si può notare che un ragionamento simile lo ha fatto anche il governo italiano, stretto tra l’incudine di far ripartire il Pil e il martello dell’epidemia. Infatti, sarebbe bastato prevedere che chiunque avesse voluto viaggiare, avrebbe dovuto fare un tampone, invece questa semplice misura (che non avrebbe impedito il diffondersi della malattia, ma avrebbe almeno identificato i positivi asintomatici prima che si mettessero in circolazione) è stata scartata per timore che frenasse la residua stagione turistica. Soldi o salute? Il Governo, come si dice a Sassari, si è coricato in mezzo per non sbagliare. L’Italia branchista, ovviamente, si è divisa, chi per i soldi e chi per la salute, rinunciando coerentemente a ogni comprensione, a ogni visione, a ogni disciplina.

Noi che branchisti non siamo, siamo costretti a resistere, a salire metaforicamente sui monti per interpretare un senso diverso della vita, della storia, del diritto, del lavoro, dell’amore e della fratellanza. Noi di razza umana e non canina siamo costretti a esibire la nostra fragile e radicata dignità, a pretendere razionalità e metodo, coesione e disciplina, per provare in questo modo a rappresentare a quale altro destino si è chiamati se si ritorna bipedi.

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