Dall’Ecdc arriva l’allarme variante Delta “in Europa per dicembre e gennaio, che rischiano di diventare mesi ancor più critici per il continente già investito dalla quarta ondata”. L’Oms stima che i morti in Europa potrebbero superare i due milioni entro marzo 2022. In Germania, in un drammatico appello ai cittadini tedeschi affinché si vaccinino, il ministro della salute, Jans Spahn, ha dichiarato: “entro fine inverno in Germania quasi tutti vaccinati, guariti o morti”. In Gran Bretagna le terapie intensive sono affollate di no vax e fa paura la variante Delta Plus, estremamente contagiosa.
In Italia le curve epidemiologiche continuano a salire. In piena nuova ondata i grandi paesi europei rischiano di tornare a rivivere gli stessi incubi di un anno fa, quando la pandemia raggiunse i suoi picchi? Che cosa ci dicono oggi i numeri di contagi, ricoveri e decessi? E che cosa dobbiamo aspettarci, visto che rispetto a 12 mesi fa è stata messa in piedi la più massiccia campagna vaccinale che la storia ricordi? Ne abbiamo parlato con il professor Antonello Maruotti, Ordinario di Statistica all’Università Lumsa e cofondatore di StatGroup19, gruppo inter-accademico di ricerca statistica sulla pandemia da Covid-19.
Prendendo in considerazione i dati Covid di Italia, Germania e Regno Unito, e facendo una comparazione fra la terza ondata dell’autunno 2020 e l’ondata attuale, che cosa ci dicono queste curve in termini di possibile scenario per ciascun paese?
Italia, Germania e Regno Unito hanno vissuto e vivono fasi molto diverse dell’epidemia, anche e soprattutto per il modo in cui si è scelto di gestire l’epidemia.
Partiamo allora proprio dall’Italia.
L’Italia è stata duramente colpita nell’autunno 2020. Abbiamo registrato quasi 41.000 nuovi casi giornalieri, 3.900 posti letto occupati in terapia intensiva e oltre 800 morti al giorno a novembre 2020. Numeri che fanno venire i brividi, ma che, per fortuna, sono ben lontani da quelli attuali. Il 22 novembre i morti sono stati 70 e i posti letto occupati in terapia intensiva 549. Per quanto riguarda il numero di nuovi casi giornalieri, seppur in crescita, siamo ben lontani da quanto registrato lo scorso anno: il massimo registrato finora, il 20 novembre, è pari a 11.555. Inoltre, la crescita dell’epidemia è localizzata in alcune aree specifiche e, per ora, sembra risparmiare il Sud del Paese.
La situazione della pandemia in Germania è più grave?
Sì. In Germania questa ondata è la più intensa in termini di nuovi casi giornalieri identificati, addirittura maggiori che nel tanto discusso Regno Unito. La crescita nell’ultimo mese è stata esponenziale, molto rapida. Anche in questo caso, alcune zone sono maggiormente colpite e l’imposizione di restrizioni locali è più che un’ipotesi attualmente al vaglio delle istituzioni tedesche.
E nel Regno Unito?
Nel Regno Unito si registrano sempre contagi giornalieri molto alti, ben oltre i 30.000 casi, con picchi vicino ai 50.000, che da noi avrebbero fatto urlare alla catastrofe. La poca attenzione verso le minime restrizioni imposte fa sì che mini-ondate si susseguano senza sosta.
C’è un elemento in comune?
Qualcosa in comune le situazioni dei tre Paesi l’hanno. L’introduzione dei vaccini ha drasticamente ridotto l’impatto del virus su ospedalizzazioni e letalità. I casi osservati, seppure facendo registrare, come detto, numeri importanti, non portano più a una elevata pressione sugli ospedali, come invece successo nel 2020. Lo stesso si può dire per il tasso di letalità, fino a 5 volte inferiore di quanto osservato lo scorso anno.
Si potranno raggiungere nuovi picchi? Quando? E con quali livelli di contagi, ricoveri, decessi?
Le variabili in gioco sono molteplici, su alcune delle quali abbiamo poche informazioni. L’introduzione del Green pass ha prodotto un’impennata nel numero di tamponi processati giornalmente, con punte oltre i 700.000, a fronte di un massimo pre-Green pass di 378.000. La nuova politica di gestione dell’epidemia e, di conseguenza, dei tamponi ha portato alla luce numerosi casi asintomatici e paucisintomatici. Abbiamo, pertanto, aumentato notevolmente il tracciamento: più cerchiamo, più troviamo. A questo si aggiunge un aumento atteso dei contagi nella stagione autunnale, come ampiamente discusso anche nell’autunno del 2020.
Il virus, insomma, circola liberamente. E’ così?
C’è la copertura vaccinale, di cui ancora non si conoscono a fondo tutte le caratteristiche, a fare da ago della bilancia tra il contenimento dell’epidemia e la sua ripresa. E’ oggetto di discussione l’anticipo della terza dose a cinque mesi dalla seconda, segno che la copertura scende rapidamente dopo una certa soglia di tempo.
Quale soglia?
Le informazioni in tal senso sono scarse e non sempre univoche. Di certo, avere un lasciapassare, come il Green pass, valido per 9-12 mesi a fronte di una copertura vaccinale inferiore ai 6 mesi non ha senso.
Alla luce di tutto questo cosa dobbiamo aspettarci?
E’ lecito aspettarsi mini-ondate, brevi e più o meno intense, come quella estiva o quella che stiamo attraversando in questo momento. L’impatto sia sulle ospedalizzazioni che sui decessi sarà tuttavia molto minore che in passato. I livelli che raggiungeremo per tutti i principali indicatori dell’epidemia saranno ben al di sotto di quanto osservato nell’autunno 2020. Il picco di incidenza non è così lontano, la finestra tra fine novembre e inizio dicembre è quella più probabile al momento, ma possono intervenire diversi fattori esterni a spostare questa finestra verso metà dicembre. A seguire, avremo picco di prevalenza e di ospedalizzazioni, solo poi il picco dei decessi.
Siamo in pieno disastro? O il disastro si sta avvicinando a grandi passi?
La famosa favola di Esopo dello “Scherzo del pastore”, conosciuta per la frase “al lupo, al lupo”, dovrebbe sempre essere di monito, ancor più quando si parla delle vite delle persone. Lo scorso anno pregavamo di restare in zona gialla, una zona gialla con ben più restrizioni di quella che, eventualmente, si prospetta ora in alcune zone del Paese. Più di una volta, pensiamo alla scorsa estate, previsioni allarmistiche hanno avuto il solo effetto di terrorizzare le persone e ridurre la loro fiducia nella scienza. Siano nel pieno dell’ondata autunnale, ma nulla di disastroso. La situazione è ampiamente sotto controllo, sia in termini di circolazione del virus che di pressione sugli ospedali. E’ certo che i numeri cresceranno ancora, ma la crescita con cui gli indicatori stanno aumentando si sta riducendo.
Per esempio?
Prendendo un indicatore grezzo come il rapporto tra decessi e nuovi casi, a settembre ogni 1000 casi abbiamo osservato 16 decessi, mentre nell’ultima settimana circa 6. L’impatto dei nuovi casi sulle forme più gravi della malattia è pertanto molto limitato, al momento.
E’ possibile contenere questa ondata autunnale?
Per intervenire in modo tempestivo, laddove ci fosse una rapida ripresa dei contagi, come avvenuto ad esempio in Friuli-Venezia Giulia nelle settimane passate, si deve pensare a integrare l’attuale sistema di indicatori ospedalieri con indicatori di incidenza e di tracciamento, per evitare di imporre restrizioni solo una volta che la situazione sia già fuori controllo. Inoltre, si deve assolutamente pensare a restrizioni locali: il sistema a colori per intere regioni deve essere superato. Purtroppo, però, la qualità dei dati a livello provinciale è pessima e le informazioni, almeno quelle pubbliche, carenti.
Ogni trend epidemiologico riflette politiche sanitarie diverse. Cosa ci può dire a tal proposito?
L’eterogeneità che si sta osservando in Europa in questo momento è frutto delle scelte dei diversi governi nella gestione sia dell’epidemia sia della campagna vaccinale.
L’Est Europa è in piena emergenza. Perché?
La bassa, se paragonata ai Paesi dell’Europa occidentale, percentuale di popolazione vaccinata nei Paesi dell’Est Europa sta portando a una rapida diffusione dell’epidemia, che, accompagnata all’assenza di interventi restrittivi adeguati, può avere un impatto anche da noi. Rafforzare i controlli è fondamentale per evitare di importare casi dall’estero, a cui si possono accompagnare anche nuovi varianti, che per ora, però, non destano preoccupazione.
Guardando al Nord Europa, si è citato molte volte il modello svedese. Ha funzionato?
Il cosiddetto modello svedese non ha prodotto i vantaggi sperati. Anzi, gli altri Paesi scandinavi, la Norvegia in primis, hanno gestito molto meglio della Svezia l’epidemia, registrando anche perdite economiche più contenute.
E in Italia? Che giudizio possiamo dare alle nostre politiche sanitarie anti-Covid?
Il modello italiano, quello proposto dal governo Draghi, sta diventando un riferimento per altri Paesi. L’introduzione del Green pass, una scelta politica e non epidemiologica, ha avuto un impatto nel contenimento dell’epidemia. Altri Paesi stanno pensando a misure simili, da adattare ai diversi contesti. In passato, invece, la gestione dell’epidemia era stata affidata principalmente all’indice Rt, che non è pensato per imporre restrizioni e che ha prodotto delle distorsioni molto gravi nella gestione dell’epidemia, imponendo restrizioni a volte non necessarie e, dall’altra parte, ritardando interventi fondamentali al contenimento tempestivo dell’epidemia.
Quanto le vaccinazioni hanno inciso sul contenimento dei decessi?
L’eccesso di mortalità registrato nel 2020 e, in parte, all’inizio del 2021 per le classi di età più anziane è un fatto ormai non più oggetto di discussione. L’introduzione dei vaccini ha portato un abbattimento del rischio di morte nella popolazione vaccinata, con conseguente azzeramento, o quasi, dell’eccesso di mortalità stimata. Dai dati ufficiali, la popolazione non vaccinata continua invece ad avere ancora rischi ben più alti, rispetto alla popolazione vaccinata, di dover ricorrere alla terapia intensiva e di morire. I numeri sono chiari in tal senso: il vaccino funziona e ci sta consentendo di avere una vita pressoché normale.
(Marco Biscella)
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