Il post-pandemia è cominciato quando il coronavirus infuriava. I post-pandemisti si potevano riconoscere dal mantra: “nulla sarà come prima”. Cerchiamo di capire cosa ci sia di vero in quest’attesa di cambiamento radicale, al di là della giusta necessità di manifestare dell’ottimismo per ripartire dopo i disastri provocati dal virus.



Quando ci si scotta col fuoco, si pone più attenzione quando si è vicini al fuoco, ma non cambiano gli altri comportamenti. Quindi, in quale misura l’epidemia da coronavirus – che dura ufficialmente da quasi due anni, ma che è cominciata molto prima – è una scottatura che presto dimenticheremo e per che cosa, invece, sarà un momento di svolta, un crocevia della storia?



Bisogna dire che il ritornello che nulla sarà come prima è stato ripetuto ogni volta che è successo un fatto eccezionale, una guerra, il terrorismo e l’attentato alle Torri gemelle, la crisi economica del 2008-2013 nata dai titoli subprime, i disastri causati da eventi meteorologici mai successi a memoria d’uomo. Poi tutto è tornato (quasi) come prima. I fatti drammatici hanno cambiato la vita dei pochi direttamente coinvolti, ma hanno cambiato poco o per niente nel resto del mondo.

La pandemia da Covid è stata un trauma sociale di dimensioni planetarie le cui conseguenze sociali possono andare ben oltre quelle sanitarie dell’infezione e quelle economiche del fermo delle attività produttive. La pandemia e le restrizioni ai contatti umani possono realmente cambiare il futuro dell’ecumene. Quanto, dipenderà dalla percezione che della pandemia hanno maturato le diverse culture e categorie di persone. A noi interessa capire quali cose possono cambiare per tutti.



In ogni parte del mondo è diffusa la percezione che, quantunque la tendenza del contagio ondeggi, ma è in calo, il virus rimane in agguato e con una carica di pericolosità smorzata solo dal fatto che ora lo conosciamo e che oltre cinque miliardi di persone (su quasi otto che costituiscono la popolazione mondiale) ne sono immuni grazie ai vaccini. Restano fuori da questo discorso i cosiddetti no-vax, persone che pensano che il rimedio sia peggiore del male e che sono valorizzati dai media come fenomeno di massa, mentre, invece, sono solo pepe su una pietanza mediatica che il palato dei più avverte con fastidio.

Una seconda percezione condivisa è che questo è solo uno tra i tanti drammi che possono accadere a causa di altri virus o batteri, spontanei o creati ad arte, volendo rimanere nell’ambito dei problemi di tipo sanitario. Insomma, un episodio, importante quanto si vuole, ma poi tutto rientrerà nella normalità.

Che cosa tornerà normale? Quali attività riprenderemo a fare come prima e quali altre cambieranno? Per capire dove stiamo andando, abbiamo interpellato un campione di migliaia di italiani adulti. Le risposte che abbiamo ottenute alla domanda “Il lockdown ha indotto molte persone a comportarsi in modo particolare. Lei pratica le seguenti abitudini o pensa di praticarle dopo l’epidemia?”, con possibili risposte: Mai fatto, né farò / Mai fatto, ma farò / Fatto, ma smetterò / Fatto e continuerò, sono presentate in sintesi nella tabella seguente.

I comportamenti sono ordinati in funzione dei cambiamenti che i rispondenti hanno dichiarato di avere iniziato durante la pandemia e di voler praticare anche dopo (ultima colonna della tabella). Per esempio, il saluto con il gomito o con il pugno dovrebbe essere dismesso dopo la pandemia dal 65,3% della popolazione, ma il 16% continuerebbe a praticarlo. Per quanto riguarda gli altri dati della tabella, la prima colonna di numeri è la percentuale di popolazione le cui abitudini non sono cambiate con la pandemia e la seconda è la percentuale di interpellati che considera l’eventualità di iniziare a farlo prima o poi. Quindi, l’effetto complessivo della pandemia si può considerare dato dalla somma di quanti proseguiranno nelle abitudini contratte durante la pandemia (ultima colonna della tabella) e di quanti pensano di cambiarle nel prossimo futuro (seconda colonna di numeri).

Frequenze percentuali di comportamenti che cambieranno dopo la pandemia (Italia, 2021)

Mai fatto, né farò Dopo la pandemia
Inizierò Smetterò Continuerò
Usare il monopattino 85,6 10,3 0,5 3,6
Portare guanti su mezzi pubblici o supermercato 44,1 4,9 41,2 9,9
Salutare persone con gomito o pugno 14,4 4,3 65,3 16,0
Acquistare medicine via internet 68,9 11,2 3,6 16,4
Fare esercizi yoga, meditazione, mindfulness 61,7 16,9 2,8 18,5
Fare spesa quotidiana o settimanale su internet 57,3 10,1 12,1 20,2
Suonare uno strumento musicale 70,6 6,5 0,8 22,2
Fare il pane in casa 51,6 11,3 7,4 29,7
Fare il vaccino anti-influenzale prima d’inverno 39,2 18,7 3,1 39,0
Coltivare verdura o erbe aromatiche 45,1 14,4 1,4 39,0
Bere acqua da bottiglie invece che rubinetto casa 42,8 2,7 7,0 47,5
Fare bricolage (lavoretti) in casa 39,0 8,6 4,0 48,4
Usare la bicicletta per tragitti di medio raggio 31,3 13,1 2,5 53,1
Abbonamento a piattaforme audio/video 31,0 5,2 3,2 60,5
Usare l’auto al posto del mezzo pubblico 16,7 4,1 16,7 62,4
Togliere le scarpe entrando in casa propria 21,6 4,7 5,9 67,8
Utilizzare home banking per operazioni cassa 8,3 5,6 1,1 85,1

 

È opportuno premettere che la rilevazione è stata effettuata con un questionario online, quindi che le persone qui rappresentate sono quelle che possiedono un collegamento internet. Inoltre, dalle abitudini esaminate sono esclusi il lavoro da remoto e la didattica a distanza che abbiamo discusso in un nostro precedente intervento.

I comportamenti resi obbligatori da norme, come il salutare con i gomiti o con il pugno e l’indossare i guanti nei luoghi in cui è rischioso toccare superfici toccate da altri, sembrano destinati a scomparire appena possibile. Rispetto alle calorose abitudini mediterranee, il saluto con il pugno o il gomito pare piuttosto buffo, poco più di un gioco infantile.  Per mantenere le distanze, un inchino o un altro segno di deferenza disgiunto (portarsi la mano sul cuore o alla fronte) sarebbero forse proseguiti con maggiore frequenza anche dopo la grande paura.

Quando le autorità sanitarie diranno che non c’è più rischio di contagio o, più verosimilmente, quando diranno che il rischio è sostenibile e che dobbiamo convivere con il virus, i segni della prudenza sanitaria degli italiani dureranno a lungo. È, infatti, probabile che molti continueranno a indossare la mascherina all’aperto, oppure a lavarsi spesso, o a disinfettarsi le mani anche quando non sarà obbligatorio.

La paura del virus lascerà il segno anche in alcuni comportamenti igienici non suggeriti dai responsabili sanitari, come farsi il vaccino anti-influenzale prima dell’inverno, bere acqua da bottiglie invece che dal rubinetto di casa, o togliersi le scarpe entrando in casa propria. Quasi tre italiani su quattro hanno iniziato a togliersi le scarpe sulla porta di casa durante la pandemia e altri si stanno abituando a farlo. Abitudini come il togliersi le scarpe indossate fuori casa possono diventare modelli di comportamento collettivo che separeranno in modo netto il vivere nella propria casa dal vivere fuori.

E questo, verosimilmente, non solo con riguardo ai rischi inerenti alla salute propria e dei famigliari, ma anche per marcare l’autonomia di gestione della vita privata rispetto a quella del più ampio contesto sociale. In un certo senso, sembra che la gente intenda identificare il luogo in cui desidera – e sente di poter – avere il massimo controllo della propria incolumità rispetto ai luoghi (lavoro, viaggi, svago eccetera) nei quali ammette la propria impotenza e auspica l’affermarsi di norme comportamentali comuni a tutti i cittadini.

Tra i comportamenti esaminati nell’indagine, molti non c’entrano con la paura del virus, però sono iniziati a margine del lockdown. Alcuni di questi segnalano un cambiamento di mentalità generalizzato. In primis, l’uso di internet per funzioni che prima erano svolte con contatti diretti. Tra questi, la spesa con prenotazione via internet, l’acquisto di beni, comprese certe medicine, sempre via internet, l’abbonamento online a piattaforme per attività ludiche (Sky, Netflix e simili), l’home banking, ossia l’accesso da remoto al proprio conto corrente bancario, anche per svolgere operazioni di cassa. L’impiego di internet per contattare fornitori di beni e servizi senza spostarsi da casa mostra che l’obbligo prolungato di rimanere in casa e di limitare i contatti umani durante la pandemia ha cambiato la mentalità di tutti in merito allo strumento di comunicazione.

L’acquisto di certi farmaci senza recarsi in farmacia continuerà anche dopo la pandemia per il 16% delle persone, che, assieme ad un altro 11% che medita di farlo (dati approssimati all’intero), porta il totale dei potenziali acquirenti di farmaci da remoto a oltre il 27%. In ogni caso, quasi nessuna tra le persone che hanno iniziato a farlo durante il lungo periodo di pandemia pensa di cambiare abitudine.

L’abbonamento a piattaforme audio o video è iniziato per il 61% degli interpellati durante la pandemia; se a questa percentuale si somma il 5% che si propone comunque di farlo, si ottiene un 66% complessivo. Si tratta di un tipo di commercio che da sempre avviene da remoto; stupisce, tuttavia, la grande diffusione che sta avendo presso le famiglie italiane.

L’home banking è iniziato per l’85% degli interpellati durante la pandemia, a cui va aggiunto un altro 6% che si sta convincendo a farlo prima o poi, per cui si arriva a ridosso del 92%, ossia quasi tutti gli italiani che hanno un conto in banca.

Ciò significa che la maggior parte delle famiglie interpellate sta usando il collegamento in rete per le più svariate funzioni, non solo per acquisti online, ma anche per il controllo e la movimentazione delle proprie liquidità patrimoniali. L’innovazione indotta dalla pandemia riguarda molto più il mezzo – cioè internet, attraverso il quale si possono “contemplare” le proprie disponibilità – che la convinzione della necessità di movimentare i propri risparmi senza il supporto di consulenti bancari o finanziari.

Altri cambiamenti di mentalità che erano allo stato latente prima della pandemia e che l’isolamento forzato in casa ha fatto emergere riguardano aspetti di uno stile di vita più intimo e rilassato da parte di individui e famiglie. Con linguaggio ormai comune, si può dire che è diventato di massa il fenomeno prima elitario dello slow lifestyle. Questo stile di vita ha molteplici manifestazioni, dalla produzione di verdure o erbe aromatiche sul terrazzo o sul giardino di casa, al farsi il pane e la pasta nella propria cucina, al preparare conserve, marmellate, yogurt e altri beni di consumo quotidiano, al fare jogging e all’utilizzare la bicicletta al posto dell’auto per tragitti di medio raggio.

I dati da noi raccolti indicano che le famiglie che hanno iniziato a farsi il pane in casa durante la pandemia sono il 30% del totale e che aumenteranno ancora. Quelle che hanno iniziato ex-novo a coltivare in casa, o nelle vicinanze di casa, verdura o erbe aromatiche sono quasi il 40% e la tendenza è verso incrementi ancora superiori a quelli del pane. Ben due italiani su tre hanno iniziato e continueranno ad utilizzare la bicicletta, al posto dell’auto, ogni volta che possono. Si è, inoltre, ampliato a dismisura il numero di italiani che fanno bricolage, oppure sono disposti ad acquistare mobili o vestiti di seconda mano. Quindi, il sentimento socio-ecologico di contrasto dell’omologazione consumistica, che già esisteva prima della pandemia, ha avuto una forte spinta dalle prove di funzionamento fatte dalle famiglie durante il lockdown.

Diverse, ma per molti aspetti simili alle precedenti, sono anche le attività di auto-arricchimento culturale a cui la pandemia ha dato la stura, dalla lettura di libri, al viaggiare virtuale tramite documentari televisivi, al praticare esercizi di yoga, meditazione o mindfulness, al suonare strumenti musicali. Sia lo yoga e le pratiche analoghe, che il suonare strumenti, coinvolgono circa il 30% degli italiani, circa il doppio di prima dell’avvento del virus, e il fenomeno sembra non essere transitorio.

Il solo fenomeno che potrebbe rientrare a pandemia finita è quello dell’uso dell’auto propria al posto del mezzo pubblico. L’auto è stata massivamente utilizzata durante la pandemia a causa della scarsa sicurezza sanitaria percepita dalla gente circa l’utilizzo dei mezzi pubblici: aerei, treni e autobus hanno avuto cali nell’utilizzo che non sono spiegabili con il contingentamento dei posti, bensì con il timore del contagio. Questo timore scomparirà solo quando del virus non si parlerà più, ossia ben dopo la fine ufficiale della pandemia. È, infatti, ancora fresco nella memoria degli italiani quanto i luoghi di concentrazione del virus (ospedali, case di riposo, aeroporti, mezzi di trasporto eccetera) abbiano contribuito a diffondere il virus.

Del tutto a sé stanti sono i due fenomeni del fare la spesa periodica e dell’uso del monopattino. A fare la spesa periodica (sia giornaliera che settimanale) gli italiani non rinunciano: gli incontri al supermercato sono momenti di socializzazione, l’analogo di una passeggiata in piazza. La frequentazione dei negozi è, infatti, ripresa alla grande appena le norme l’hanno consentita ed è stabile nel tempo.

Il monopattino, invece, è uno strumento il cui uso, pur essendo iniziato prima, è diventato di massa durante la pandemia: per le persone che lo praticano o intendono utilizzarlo come mezzo di trasporto urbano prevalente (circa il 14% degli interpellati), il rischio di contagio, che ha indotto ad utilizzare soprattutto mezzi di trasporto individuali, e le norme fiscali favorevoli all’acquisto sono stati elementi scatenanti. L’indagine ci suggerisce che, in breve tempo, i monopattini che vedremo in giro saranno almeno il triplo di quelli oggi circolanti, in alternativa alla bicicletta.

Quali sono dunque i cambiamenti indotti dalla pandemia? La sintesi è la seguente.

  • Ha fatto diventare normale la comunicazione in rete per la quasi totalità della popolazione, sostituendo il contatto fisico tra persone con quello virtuale anche in molte situazioni in cui quello fisico sarebbe possibile. Quindi, se proprio non è stato vinto del tutto il timore reverenziale delle persone meno avvezze all’uso della strumentazione elettronica, tutti concepiscono internet come mezzo necessario.
  • Ha cambiato lo stile di vita di molte famiglie, introducendo nuove abitudini, come il togliersi le scarpe sulla porta di casa, il fare in proprio alcuni cibi o coltivare erbe alimentari, il sistemare da sé l’abitazione e le suppellettili, il riusare il vestiario. Queste abitudini non solo aiutano a proteggere la salute e a limare i costi della gestione famigliare, ma sono testimonianze del maggiore impegno degli adulti verso la casa e la famiglia.
  • Ha spinto le persone a riflettere più a fondo sui destini del pianeta, inducendole a prendere l’iniziativa partendo dai propri comportamenti. Molte più persone, infatti, stanno assumendo abitudini quotidiane più meditative e stanno orientando quote maggiori del proprio tempo attivo verso la produzione di soddisfazioni morali e culturali, piuttosto che materiali. In altri termini, la tragedia mondiale causata dal virus ha portato probabilmente la maggioranza delle persone ad assumere uno stile di vita più riflessivo e meno consumistico.

Resta da capire in quale misura tutto ciò costituisca un duraturo cambiamento di paradigma nel modo di vivere urbano, oppure sia l’ennesima moda passeggera, un vincolo per svicolare, un modo per scaricarsi la coscienza ed evitare trasformazioni radicali, già constatato dopo altri fatti sociali rilevanti. Neppure gli psicologi sono riusciti a dipanare il groviglio di meccanismi mentali che regolano gli stili di vita dopo un trauma sociale. È comunque assodato che la pandemia ha avuto sulla psiche delle persone un impatto traumatico, forse il più profondamente emotivo dalla fine della Seconda guerra mondiale, e non potrà non segnare chi l’ha vissuto.

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