Vi è una diffusa preoccupazione circa una possibile ripresa dell’epidemia di Covid-19 in Italia e quindi il timore di una possibile quarta ondata. Questa apprensione è alimentata da una lettura superficiale dell’ultimo monitoraggio dell’epidemia dell’Istituto Superiore di Sanità, da cui emerge come l’incidenza dei casi sia di poco al di sotto della soglia settimanale di 50 casi ogni 100mila abitanti, in crescita rispetto alle precedenti settimane. Ciò è legato soprattutto a una maggiore diffusione del virus nei giovani sotto i vent’anni, dove la quota di persone vaccinate rimane ancora bassa.



La paura di una ripresa deriva anche dall’osservazione di ciò che sta avvenendo in altri paesi europei come Germania e Gran Bretagna, dove si osserva un numero di contagi che si attesta rispettivamente intorno a 20mila e 40mila casi giornalieri. Siamo quindi di fronte alla ripresa della pandemia, nonostante la vaccinazione di massa?



Basterebbe confrontare i dati attuali dell’epidemia in Lombardia con quelli dell’anno scorso per capire che le cose non stanno così: a fine ottobre 2020 i malati ricoverati in terapia intensiva erano circa 300 contro i 50 attuali e le persone ricoverate nei reparti ordinari più di 3.000 in confronto ai 300 attuali. E durante il mese di novembre la situazione sarebbe poi drasticamente peggiorata: tutti ricordiamo il secondo lockdown (seppure attenuato rispetto a quello di marzo), le scuole chiuse e il coprifuoco serale.

La lettura dei dati va quindi contestualizzata, tenendo conto che oggi è in campo un giocatore che l’anno scorso non c’era: la vaccinazione. Nell’autunno del 2020 nessun italiano era stato ancora vaccinato, mentre ora più dell’80% della popolazione candidabile è stata immunizzata.



Due considerazioni però si impongono. La prima è che la strada verso l’eradicazione della malattia è ancora lunga. Pensare che la vaccinazione di massa sia l’unica chiave per tornare alla normalità è fuorviante. La storia dimostra che la vaccinazione da sola non può controllare un virus, ma che sia necessario mantenere contemporaneamente le misure di sanità pubblica che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi (mascherine, tracciamento, quarantena), seppure con regole meno stringenti rispetto alla fase altamente epidemica.

La differenza con ciò che sta avvenendo nel Regno Unito sta molto in questo: in Italia non vi è mai stato l’abbandono totale delle misure di mitigazione dell’epidemia e questo spiega, oltre all’alto tasso di copertura vaccinale, i buoni risultati in termini di contenimento del contagio che ci pongono tra i migliori paesi nel mondo.

Dobbiamo ricordarci che l’eradicazione del vaiolo ha richiesto, oltre alla vaccinazione di massa, sforzi concertati e decennali anche in termini di comunicazione e coinvolgimento del pubblico. E non si è mai smesso di testare, tracciare e isolare i casi quando vi erano focolai epidemici.

La seconda considerazione è che saremo veramente al sicuro solo quando tutti gli uomini, in ogni parte del mondo, saranno al sicuro. Questo tema è stato oggetto dell’ultima riunione del G20 tenutasi a Roma, dove i leader che vi hanno partecipato si sono posti l’obiettivo ambizioso di vaccinare il 70% della popolazione mondiale entro giugno del 2022. Bisogna augurarsi che veramente tale obiettivo sarà perseguito.

I paesi a basso e medio reddito sono ancora pericolosamente al di sotto delle soglie di vaccinazione accettabili. Le nuove varianti di Sars-Cov-2 emergono quando la trasmissione è diffusa e il trattamento non è ottimale. Come è avvenuto per la variante Delta, che è tre volte più contagiosa del ceppo originale di Wuhan, emersa per la prima volta in India.

La pandemia di Covid-19 è veramente una sfida che vinceremo tutti insieme o non sarà mai vinta.

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