Nel Lazio su quasi 27mila tamponi (632 in meno rispetto al giorno precedente) si registrano 2.667 casi positivi (-30), mentre calano decessi e nuovi positivi. A Roma sono 1.470 i nuovi casi di coronavirus, praticamente in linea (1.467) con l’andamento registrato nelle 24 ore precedenti. A livello regionale il rapporto tra positivi e tamponi resta sotto il 10%. “Nel Lazio – ha commentato Alessio D’Amato, assessore alla Sanità – la corsa del virus rallenta. La nostra è tra le grandi regioni quella con valore Rt più basso grazie alle tempestive misure adottate e al rigore nei comportamenti che deve necessariamente proseguire. Guai a cantare vittoria, il percorso è ancora lungo”. Ma per Stefano De Lillo, medico di base che per anni si è occupato di politiche sanitarie, i numeri nascondono una situazione che rosea non è, in una regione che, come altre, sta facendo i conti anche con la penuria di vaccini antinfluenzali. E sul vaccino anti-Covid De Lillo lancia un appello all’Ema: “I dati sull’iter autorizzativo del vaccino non devono essere secretati. L’Ema deve comunicare le varie tappe di avvicinamento all’approvazione, o non approvazione, in una sorta di ‘Bollettino del vaccino’ quotidiano. Dalla tempestività e trasparenza delle informazioni, infatti, dipenderà l’efficacia anche delle scelte dei decisori politici”.



Guardando le curve epidemiologiche, come si presenta la situazione nel Lazio?

Il sistema dei 21 indicatori è contorto e artificioso, perché mette sullo stesso piano parametri che hanno peso diverso. La mia sensazione come medico di base è che la situazione del Lazio non sia così serena come la cartina dei colori regionali mostra.



Che cosa la induce a pensarlo?

Il criterio più importante, il numero dei ricoveri e delle terapie intensive. Se paragoniamo il dato regionale con quello della Campania, regione confinante con la nostra e con una popolazione simile, nel Lazio i ricoveri sono 3.103 e in Campania 2.287, mentre in terapia intensiva abbiamo 329 posti letto occupati e in Campania 194. Il Lazio è regione gialla, la Campania rossa. Quindi, il Lazio è al terzo posto in Italia come numero di ricoveri ed è strano che non venga considerato nel valutare la reale situazione di un territorio.

E il rapporto tra tamponi e casi positivi?



L’altro giorno Sky ha mostrato un servizio in cui si evidenziava che il Lazio ha un numero di positivi intorno al 9% rispetto alla media nazionale del 16-17%. Un risultato dovuto – sottolineava quel servizio – probabilmente al fatto che venissero conteggiati sia i tamponi rapidi, eseguiti per scovare i contatti, sia quelli molecolari, fatti per i sintomatici. I test rapidi è più facile che abbiano parametri ben più bassi dei molecolari.

E a Roma? I pronto soccorso sono ancora presi d’assalto, visto che Il Messaggero parla di carica dei finti malati?

Si parla di un 30-35% di positivi, una percentuale molto più alta del 9% rilevata con i tamponi, riferita ai test eseguiti a domicilio per un sospetto clinico, quindi anche su persone fragili, che non possono muoversi da casa e che possono essere più a rischio. Non parlerei di falsi malati, piuttosto bravi i medici a individuare una così alta incidenza di positivi. Segnalerei invece un altro dato, sempre riportato dal Messaggero.

Quale?

Il Lazio è al terz’ultimo posto in Italia nel rapporto interventi domiciliari delle Uscar, solo 34, ogni 50mila abitanti. È lì che è mancato l’intervento e questo spiega perché abbiamo così tante ospedalizzazioni.

L’operazione tamponi rapidi presso medici e pediatri ha fatto registrare un boom di adesioni?

Il boom non c’è stato. Solo una percentuale molto bassa di medici di famiglia e pediatri ha aderito volontariamente all’iniziativa, che porta ulteriore aggravio di lavoro a una classe medica ormai al limite del collasso fisico e presenta dei costi altissimi, perché svolta da personale medico e non infermieristico, come nei laboratori o nelle farmacie. Non è un intervento saggio e non si possono obbligare medici e pediatri di farsi carico di questi tamponi in studi che sono inadatti.

“La Regione Lazio è in zona gialla, ma la sua permanenza non è scontata”, ha detto l’assessore D’Amato. Stanno funzionando le misure restrittive adottate?

Più che altro bisogna capire se funzionano, e i numeri dicono di no, le misure di prevenzione. E poi bisognerebbe chiedersi, da un lato, che fine ha fatto l’arma principale di Arcuri per garantire il tracciamento, cioè l’app Immuni, all’inizio tanto strombazzata e ora completamente scomparsa dai radar, e dall’altro dov’è il Protocollo nazionale per le cure domiciliari, che stiamo aspettando da nove mesi. Infine, a che è servita l’indagine sierologica a suo tempo finanziata dalla Regione Lazio? Quelle risorse avrebbero potuto essere utilizzate per un approvvigionamento adeguato di vaccini antinfluenzali, che oggi sono esauriti e introvabili.

Una task force è già al lavoro nel Lazio per lo stoccaggio, la distribuzione e la somministrazione del vaccino Covid-19. Lei teme che questo piano possa fare la stessa fine del piano vaccinale contro l’influenza?

Il timore è fortissimo. A tutt’oggi manca il piano di distribuzione.

Il vaccino Pfizer dovrebbe essere disponibile già a gennaio 2021…

Il primo vaccino che arriverà sarà quello di AstraZeneca, con oltre 2 milioni di dosi. È già pronto alla Catalent di Anagni. Bisognerebbe, quindi, dire subito quante dosi per regione e chi lo farà per primo. La preparazione va pensata prima dell’autorizzazione dell’Ema. Anzi, a tal proposito, visto che siamo come in guerra contro il Covid, sarebbe il caso che venga cambiata la legge che impedisce la distribuzione del vaccino prima della sua approvazione.

Perché?

Il vaccino, peraltro già acquistato dallo Stato, potrebbe già essere depositato nelle Asl regionali, così che già all’indomani della sua eventuale approvazione potrà essere subito distribuito e iniettato, senza perdere un minuto. Quanti casi positivi, quanti decessi, quanti medici e infermieri a rischio infezione potremmo risparmiarci? E sempre sul vaccino vorrei lanciare un appello.

A chi?

All’Ema stessa. I dati sull’iter autorizzativo del vaccino non devono essere secretati, non sono un segreto di Stato. L’Ema deve comunicare le varie tappe di avvicinamento all’approvazione, o non approvazione, in una sorta di “Bollettino del vaccino” quotidiano. Dalla tempestività e trasparenza delle informazioni, infatti, dipenderà l’efficacia anche delle scelte dei decisori politici.

(Marco Biscella)

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori