La “nebbia mentale” è il termine che è stato utilizzato dai medici in questi due anni di pandemia, per indicare una delle conseguenze più gravi del covid, ovvero, una sensazione di confusione e incapacità a concentrarsi, che complica decisamente le attività di tutti i giorni. A riguardo è giunto in questi giorni uno studio specifico realizzato dall’ospedale San Paolo di Milano in collaborazione con l’università Statale, secondo cui tale nebbia può durare anche fino ad un anno dopo essere guariti dall’infezione in molti pazienti.
I ricercatori che hanno realizzato lo studio hanno sottoposto ad analisi 76 diversi ricoverati per covid, e nel 63 per cento è emerso un disturbo/deficit cognitivo 5 mesi dopo le dimissioni, e nel 50 per cento dei casi il problema persisteva anche dopo 12 mesi. “Il nostro studio – le parole della coordinatrice della ricerca, Roberta Ferrucci, docente UniMi di Psicobiologia e Psicologia fisiologica, del lavoro pubblicato sull”European Journal of Neurology – conferma e amplia i risultati di studi precedenti, dimostrando che i deficit cognitivi come il rallentamento mentale e le difficoltà di memoria possono essere osservati anche dopo un anno dal contagio e potrebbero interferire con il lavoro e la vita quotidiana”.
NEBBIA MENTALE POST COVID, L’ULTIMO STUDIO “SERVONO INTERVENTI SPECIFICI”
Secondo l’esperto sono necessari “interventi di riabilitazione, in particolare sui pazienti più giovani che potrebbero avere implicazioni sociali e lavorative significative, e sperimentare un aumento dell’affaticamento mentale e dello stress”.
Alberto Priori, direttore della Clinica neurologica dell’ateneo presso il polo universitario ospedale San Paolo di Milano, aggiunge sulla nebbia mentale post-covid: “Il dato che emerge dal nostro studio mette in evidenza la necessità di valutare attentamente la progressione a lungo termine sia dei disturbi fisici che cognitivi nei pazienti post Covid-19. Per questo presso l’ospedale San Paolo è stato attivato un ambulatorio specialistico/specifico per il Long Covid”. Vincenzo Silani, direttore del Dipartimento di Neurologia della Statale presso l’Istituto Auxologico, infine ribadisce “la necessità di continuare lo studio del Long Covid, per l’imprevedibile possibile impatto anche sul disegno di nuove strategie terapeutiche per questi pazienti”.