La versione “Omicron” del Covid-19 rischia di essere letale ‘solo’ come l’influenza: a dirlo è l’immunologo Sergio Abrignani, professore ordinario di Patologia Generale presso l’Università degli Studi di Milano, nonché membro del Cts, intervistato oggi da “Libero Quotidiano”.

Dopo le dichiarazioni che hanno fatto discutere ieri, dello stesso Abrignani, a “Radio24” – «nei prossimi 30 giorni vi saranno 2500 morti tra i no vax» – il professore torna a parlare illustrando come sia cambiata la situazione del virus in Italia con l’arrivo della variante Omicron. E non ci sono solo cattive notizie: «Ci sono duecentomila nuovi contagiati al giorno e una media di duecento morti, con 1500 persone in terapia intensiva, ma sono molto meno preoccupato dell’anno scorso, quando con anche 10 volte meno positivi avevamo fino a 4-5 volte più decessi e siamo arrivati a più di quattromila persone ricoverate in urgenza» L’anno scorso, ricorda Abrignani, avevamo circa 2 morti ogni 100 contagiati, «oggi ce n’è uno su 500-1000» riflette l’esponente del Cts. Il motivo della sua relativa “serenità” riguarda lo stato di vaccinazione raggiunto dal nostro Paese: «Se non fossimo vaccinati cosi estensivamente, benché pare che Omicron dia il 40-50% in meno di casi di malattia severa rispetto alle varianti precedenti, con questo tasso di contagi oggi probabilmente viaggeremmo al ritmo di 2.000 morti al giorno e almeno diecimila persone che necessiterebbero di terapia intensiva. Con i vaccini, le probabilità di morire sono in media una su mille, più o meno come con l’influenza. Poi ovviamente dipende dall’età e dalla situazione sanitaria generale».



“FARE TAMPONI SOLO CON FORTI SINTOMI”: IL MONITO DI ABRIGNANI

Con la situazione anche generale nel mondo che lentamente sta variando – è di oggi la notizia che il Premier spagnolo Pedro Sanchez vuole cambiare il monitoraggio del Covid-19 rilevandolo più come un’influenza, seppur grave, e dunque senza contare ogni singolo contagio e senza produrre tamponi al primo sintomo – anche l’immunologo Abrignani disegna un quadro simile a quanto avviene in Spagna o in Gran Bretagna. «Fate i test soltanto se state male», spiega il docente e immunologo: un anno fa, quando ancora non si sapeva come curare la pandemia, nota il professore, «il 2-3% dei contagiati moriva e si poteva andare all’altro mondo anche a cinquant’anni, come può avvenire oggi ai non vaccinati. C’è un’ansia che ci auto-generiamo. Fa bene chi prova a vivere normalmente, va al ristorante, al lavoro, in palestra. In Gran Bretagna si comportano diversamente, hanno deciso di convivere con la loro fragilità, che poi è la fragilità dell’essere umano, e di accettare il fatto che, se si infettano duecentomila persone, ne muoiono 200 ma il sistema sanitario non collassa e la vita del Paese procede». Per Abrignani la situazione di oggi con Omicron e Delta è realmente paragonabile – non nei sintomi, ma negli effetti – all’influenza: conclude su “Libero”, «i vaccinati giovani e quelli anziani in buone condizioni non muoiono. I positivi immunizzati che non ce la fanno, muoiono, come con l’influenza, che è solo un detonatore che infiamma una situazione già compromessa. Prima della pandemia l’influenza infettava quattro-sei milioni di italiani negli anni fortunati e dieci-dodici milioni in quelli neri, con una letalità dello 0,1%, simile al Covid oggi sugli immunizzati. C’è una quasi totale sovrapponibilità tra le vittime di influenza e quelle di Covid vaccinate: anziani già malati che muoiono per complicanze che seguono l’infezione».



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