Covid, ospedali pieni” a Roma, mentre in Campania e Liguria “reparti con 10 giorni di autonomia”. Titolava così ieri Il Fatto Quotidiano, parlando di “terapie intensive sotto pressione” e di “saturazione dei posti letto vicina”. A Roma, sempre secondo il quotidiano di Travaglio, “al Policlinico non c’è posto” e allo Spallanzani si riapre “l’ex bunker anti al-Qaeda” destinato ad “ala Covid”. In Liguria, invece, “al Policlinico San Martino, nel capoluogo regionale, è scattato l’ordine di aumentare i posti letto”, così come “al Galliera e a Villa Scassi. Anche la terapia intensiva di La Spezia è satura”. In Campania, invece, destano preoccupazione le situazioni negli ospedali Cardarelli e Cotugno.



Allarme giustificato? Diciamo che Il Fatto Quotidiano ha rilanciato, con un titolo gridato, una spia rossa già accesa da tempo nei cruscotti di virologi ed epidemiologi, che a più riprese avevano avvertito di temere una recrudescenza del virus al Sud. Avvertimento, che poi purtroppo si è verificato, come ha ricordato qualche giorno fa Walter Ricciardi nel corso di un convegno: il risveglio dell’epidemia, iniziato ad agosto, sta portando “alla quasi saturazione, in alcuni ospedali napoletani e romani, dei Covid hospital”, anche se “fortunatamente questo non riguarda le terapie intensive”. Concetto ribadito in un’intervista al Sussidiario: “Per quanto riguarda le terapie intensive c’è stato un rafforzamento generalizzato in tutto il paese, non è un fronte critico. Non è successa la stessa cosa per le terapie sub-intensive e per i reparti Covid: sostanzialmente si registra una grande eterogeneità, ci sono regioni più pronte e altre molto in ritardo. Anche sulla ristrutturazione dei pronto soccorso e sull’individuazione di percorsi separati ci sono gravi ritardi, specie al Sud, dove in caso di aumento dei contagi le strutture potrebbero essere messe a dura prova”.



Saranno comunque decisivi i prossimi 15 giorni, anche se è vero che al Sud l’impennata del virus si sta rivelando più massiccia che al Nord. Gli ultimi dati aggiornati al 24 settembre dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane dell’Università Cattolica, guidato proprio da Ricciardi, segnalano per esempio che i contagi sono “aumentati di una volta e mezzo in Sardegna e Campania, quasi raddoppiati nel Lazio e Sicilia”. Se si prendono i dati degli attualmente positivi in base a 100mila abitanti, si scopre che la Sardegna è in questo momento la regione più colpita (129 casi ogni 100mila abitanti), seguita dal Lazio (120 casi ogni 100mila abitanti) e dalla Campania (103 positivi ogni 100mila abitanti). Non solo: confrontando il periodo che va dal 24 febbraio al 16 giugno con quello che dal 17 giugno arriva al 24 settembre (dati sempre dell’Osservatorio), si evince che “Sardegna, Campania, Lazio e Sicilia sono le regioni che stanno sperimentando un andamento preoccupante dei contagi giornalieri, come dimostrano gli incrementi più elevati rispetto al resto delle regioni”: rispettivamente +154,2%, +140,7%, + 90,8% e +83,8%.



Le tre situazioni evidenziate dal Fatto Quotidiano risultano però diverse tra loro. La Liguria, che forse paga la vicinanza con un paese a diffusa epidemia addirittura color scarlatto come la Francia (forse la porta di Ventimiglia si sta rivelando un po’ porosa?), ha già dimostrato nella prima fase della pandemia di saper reggere l’urto e non a caso sta adottando una strategia a fisarmonica: con una certa flessibilità, si adattano reparti e posti letto al variare delle esigenze e dell’andamento dell’epidemia.

A Roma, dove pure non si segnalano ancora assalti ai pronto soccorso e dove i medici di base ammettono un aumento dei casi positivi, in larga misura sintomatici e asintomatici, la preoccupazione sta salendo. Quest’estate dalla capitale sono partite schiere di giovani all’assalto di movide e discoteche della Costa Smeralda, da cui poi sono rientrati, lasciando sull’isola e riportando a Roma l’impronta invisibile del coronavirus. Non solo: la regione Lazio ha registrato un trend non in discesa dei ricoveri, a lungo sottovalutato da Zingaretti e dalla sua giunta.

E la Campania? A Napoli la situazione è potenzialmente esplosiva, anche solo pensando alla densità dei suoi quartieri popolari, e via via ha allentato le misure di precauzione, tanto da costringere il governatore De Luca a minacciare misure draconiane.

Già, Zingaretti e De Luca. Il primo, in piena emergenza coronavirus, non solo si è prodotto in un autogol andando a prendere un aperitivo con annesso contagio a Milano, ma in questi mesi ha lasciato il timone della lotta al Covid al suo assessore alla Salute, senza mai esporsi o impegnarsi in prima persona. E in questi mesi estivi è stato impegnato soprattutto nella difesa della roccaforte rossa toscana dall’assalto delle truppe leghiste.

Quanto a De Luca, si è spesso vantato della condotta esemplare della sua amministrazione e della sua regione (“Abbiamo fatto un lavoro straordinario grazie alla collaborazione dei cittadini e del personale medico e sanitario. Abbiamo evitato una ecatombe: a livello nazionale aspettavano un disastro in regione Campania. Abbiamo invece dato prova di corretta attività amministrativa e di ordine” diceva il 4 agosto) e non ha lesinato critiche e attacchi alla Lombardia, al suo sistema sanitario e ai lombardi (“Milano non si ferma, Bergamo non si ferma, Brescia non si ferma, poi si sono fermati a contare migliaia di morti, non centinaia”): oggi probabilmente gli fischieranno un po’ le orecchie…

Comunque, le regioni in difficoltà hanno già annunciato una “fase 6” (Lazio) e un “Piano C” (Campania) d’emergenza per contrastare l’impennata dei contagi e la temuta invasione di reparti e pronto soccorso. Ma la domanda resta: non si è forse perso tempo prezioso per preparare una prevenzione veramente efficace?

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