La diffusione del Covid può essere prevista usando un computer che analizza i dati anonimi dei cellulari. Il sistema è tutt’altro che teorico. Un team di ricercatori delle università di Stanford e Northwestern ha messo a punto, infatti, un modello che prevede come Covid-19 si diffonde in dieci grandi città sulla base di uno studio dei dati anonimi dei cellulari di 98 milioni di americani. A darne notizia è Abc News, spiegando che si tratta di un sistema che segue le tracce degli spostamenti, i luoghi visitati, il tempo trascorso negli stessi, i contesti di assembramento e metratura. Si tratta, quindi, di un sistema che mette la tecnologia al servizio della scienza per trovare un modo per uscire dal lockdown.



Per costruire il modello sono stati esaminati i dati della prima ondata negli Stati Uniti, in primavera e all’inizio dell’estate. Inoltre, i ricercatori hanno studiato New York, Los Angeles, Chicago, Dallas, Houston, Atlanta, Miami, Philadelphia, San Francisco e Washington. Con l’aiuto della società SafeGraph, che ha aggregato i dati sulla posizione dalle applicazioni del cellulare rendendoli anonimi, sono stati quindi presi i dati sulla posizione che mostrano quali luoghi le persone visitano ogni giorno, per quanto tempo e la metratura degli stabilimenti.



COVID, MODELLO PER PREVEDERE DIFFUSIONE CONTAGIO

La maggior parte dei contagi si verificano nei luoghi “super spreader”. Sono quelli in cui le persone restano in contatto più a lungo, come ristoranti e palestre. Con questo modello, dunque, cittadini e responsabili politici possono capire quante visite e quante infezioni si verificherebbero ad ogni livello di apertura. «Riaprire completamente è abbastanza pericoloso, ma c’è molto che possiamo fare tra la riapertura completa e la chiusura. Non deve essere tutto o niente», ha dichiarato Serina Chang, co-prima autrice dello studio e ricercatrice alla Stanford University. Questo modello può aiutare anche a spiegare perché il coronavirus ha colpito negli Stati Uniti le comunità di colore in modo più duro. Ma aiuta anche a spiegare le disparità di salute tra i vari gruppi socioeconomici. «I quartieri a basso reddito e meno bianchi non sono stati in grado di ridurre la loro mobilità», ha aggiunto la ricercatrice, citando i dati sulla mobilità suddivisi per gruppi di censimento. L’ipotesi è che ciò sia dovuto al fatto che le persone a basso reddito e di colore siano «sovra-rappresentate in contesti di lavoro essenziali e hanno meno probabilità di essere in grado di lavorare da casa», esponendosi di più al rischio del contagio.

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