Uno studio dal titolo “Mucosal immune response in BNT162b2 COVID-19 vaccine recipients”, condotto dall’università dell’Insubria e dall’Asst dei Sette Laghi, i cui risultati sono stati pubblicati su EBioMedicine, rivista di The Lancet, potrebbe avere scoperto il motivo per cui i vaccini a mRNA non bloccano l’infezione da Covid-19. Gli anticorpi neutralizzanti prodotti dal siero, infatti, sono stati ritrovati nel sangue dei pazienti, ma non nella bocca e nel naso. La quantità di particelle di virus contenute nella saliva, in tal senso, restano quasi immutate, a discapito di quanto avviene invece con l’immunità data dall’infezione naturale.
L’indagine, come ricostruito da Huffington Post, ha coinvolto 60 operatori sanitari dell’ospedale di Varese che avevano completato il ciclo di vaccinazione: nel sangue di tutti è stata rinvenuta la presenza degli anticorpi neutralizzanti anti-spike, ma non nella saliva. È evidente dunque che, in virtù del fatto che naso e bocca rappresentano la prima barriera all’ingresso del virus nell’organismo, i vaccini a mRNA non fornendo ad essi sostanzialmente alcuna protezione non possono impedire l’infezione.
Covid, perché vaccini a mRNA non bloccano infezione? Lo studio
A parlare dei risultati ottenuti dalla ricerca “Mucosal immune response in BNT162b2 COVID-19 vaccine recipients”, come riportato da Huffington Post, sono stati Lorenzo Azzi, ricercatore odontoiatra e patologo orale, e Greta Forlani, direttrice del Laboratorio di Patologia generale e immunologia Govanna Tosi. “Oggi il riacutizzarsi della pandemia fa emergere sempre con maggiore urgenza la necessità di indurre un’immunità sterilizzante per bloccare la diffusione del virus”, hanno sottolineato.
È da capire come i vaccini a mRNA possano essere modificati a tal punto da innescare la produzione di anticorpi anche nel cavo orale e nelle vie nasali. “A nostro parere per raggiungere questo obiettivo occorre rafforzare le difese immunitarie a livello delle vie aeree, sviluppando ad esempio preparazioni vaccinali somministrate nel cavo orale o nelle vie nasali, che rappresentano la prima barriera all’ingresso del virus nell’organismo”. Un punto di svolta sembrerebbe però ancora lontano. “Sulla base delle evidenze sperimentali ottenute da questo primo studio, stiamo valutando l’andamento della risposta immunitaria umorale nel siero e nelle mucose negli stessi soggetti a circa sei mesi dal termine del ciclo vaccinale e dopo il terzo boost antigenico”, hanno concluso gli esperti.