A fronte delle buone notizie che arrivano su vaccino e terapie anticorpali contro il Covid, la corsa dell’epidemia continua: l’altro ieri è stato toccato il numero più alto di morti dal 14 aprile – 580 – e ieri siamo arrivati a quota 623, a fronte di quasi 33mila casi individuati su 225mila tamponi eseguiti. Sempre da ieri cinque regioni – Abruzzo, Basilicata, Liguria, Toscana e Umbria – sono entrate in zona arancione, mentre la Provincia autonoma di Bolzano è finita in zona rossa, come ha stabilito l’ordinanza firmata dal ministro della Salute, Roberto Speranza. Intanto, secondo l’Iss, altre quattro regioni – Emilia-Romagna, Campania, Friuli-Venezia Giulia e Veneto – vanno verso lo scenario peggiore, tanto da “rendersi opportuno un anticipo delle misure più restrittive”. Che cosa sta succedendo? Le misure adottate funzionano oppure no? Che cosa ci aspetta? Lo abbiamo chiesto a Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.



L’altro ieri purtroppo si sono registrati ben 580 decessi, il numero più alto dal 14 aprile, e nelle 24 ore successive se ne sono contati altri 623. La seconda ondata sta diventando più aggressiva?

Come virus no, lo sappiamo con certezza. Il Covid non ha mai dato segni di cedimento, non ha perso né aumentato infettività. Semplicemente oggi abbiamo una visibilità dei casi positivi molto maggiore, perché andiamo a cercarli con il tampone. Siamo dentro una seconda ondata e purtroppo dobbiamo fare i conti con un virus che si è massivamente diffuso un po’ dappertutto. Non ce n’è di più, lo cerchiamo di più e lo vediamo di più.



L’Istituto superiore di sanità ha annunciato che l’indice Rt rallenta, ma il rischio resta alto. Intanto cinque Regioni – Abruzzo, Basilicata, Liguria, Toscana e Umbria – entrano in zona arancione e in altre quattro verso lo scenario 4 – Emilia-Romagna, Campania, Friuli-Venezia Giulia e Veneto – è “opportuno anticipare le misure più restrittive”. Le restrizioni adottate stanno funzionando o no? Bisogna introdurre strette ulteriori?

Non si può rispondere, perché le misure cominciano a funzionare dopo almeno due settimane dal momento in cui sono state adottate. Bisogna considerare il tempo della contagiosità: il virus passa da una persona all’altra in un tempo che va da un minimo di 2-3 giorni a un massimo di 10-14. Adesso è prematuro per trarre conclusioni.



C’è però chi sostiene che per evitare un lockdown generale la curva deve flettere entro il 15 novembre: è l’ultima data utile per vedere una decrescita?

Non faccio l’epidemiologo né lo statistico, quindi non saprei dirle perché la curva debba flettere per quella data e non so neppure se dobbiamo essere così rigidi e precisi. Perché il 15 e non il 16 o il 20 di novembre?

Vedremo mai un picco? E saremo costretti a convivere con questi continui e altalenanti stop & go fatti di chiusure-aperture?

Questo virus si è adattato perfettamente all’uomo, quindi, se non verranno prese misure strutturali a livello regionale o nazionale, inevitabilmente andremo incontro ad aperture-chiusure, finché non lo avremo eradicato. Il virus tenderà a tornare ogni volta che allargheremo le maglie dell’attenzione.

Si andrà avanti così fino alla prossima primavera e dopo la pausa dell’estate avremo una terza ondata in autunno-inverno, al netto dell’arrivo di un vaccino?

La sensazione è che il percorso fatto quest’anno possa essere replicato anche per gli anni a venire. Non ci sbilanciamo perché tutti speriamo che il vaccino ci dia una mano.

Passiamo alle note positive. La Pfizer ha annunciato che il suo candidato vaccino è efficace al 90%. Una buona notizia solo finanziaria o anche per la speranza di vincere presto la partita contro il Covid?

Senza alcun dubbio è una buona notizia dal punto di vista finanziario, visto che al momento abbiamo solo un lancio di agenzia proveniente dall’azienda che dichiara un’efficacia sostanziale del suo vaccino. Comunque è una buona notizia, ne abbiamo bisogno come il pane, perché il virus, che non se ne va, sarà sconfitto definitivamente solo con il vaccino. Avere un vaccino che funzioni è molto importante, siamo però ancora in una fase molto preliminare. Sono comunque fiducioso, ma servono prove, fatti, riscontri. È un vaccino che ha bisogno di due somministrazioni e richiederà ingenti quantità: serve molto tempo.

La Ue ha siglato un contratto con Pfizer-BionTech per 300 milioni di dosi, dopo aver già firmato contratti con AstraZeneca, Sanofi-Gsk e Johnson&Johnson e “altri seguiranno” ha dichiarato Ursula von der Leyen. Contare su più vaccini significa poter disporre di più dosi per una campagna vaccinale a tappeto in tempi più rapidi?

Non sto nella testa dei dirigenti della Ue, ma direi che la loro idea è quella di avere più di un’opportunità vaccinale, così da poter magari somministrare un vaccino o un altro, a condizione che siano tutti efficaci. E sono investimenti per ora fatti su ipotesi di lavoro, perché nessun vaccino ha ancora dimostrato una reale efficacia.

Anche Eli Lilly ha ricevuto l’autorizzazione dalla Fda statunitense per un trattamento con anticorpi monoclonali. È una terapia promettente? Potrebbe essere utilizzata in attesa o in alternativa al vaccino?

Dipende dalle caratteristiche degli anticorpi monoclonali. Questi anticorpi sono stati somministrati a Trump e molti di essi promettono una sostanziale efficacia, e ne siamo contenti. Ma anche in questo caso dobbiamo ancora vedere quante volte devono essere somministrati, quanto costano e quanto alla portata di tutti, se producono effetti collaterali. Di principio è un’opportunità interessante.

(Marco Biscella)

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