Il coronavirus ha avuto un impatto notevole dal punto di vista clinico e organizzativo sul dolore. I pazienti con dolore cronico sono soggetti fragili, quindi a maggior rischio di infezione Covid-19. D’altra parte, questa malattia causa un aumento di dolore nei pazienti che ne sono affetti. È quanto evidenzia Siaarti, la Società Italiana di Anestesia Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva. «L’infezione da SARS-COV-2 può causare una scarica di citochine che può anche avere conseguenze sistemiche al di là del coinvolgimento polmonare e portare a un aumento del dolore», scrivono Franco Marinangeli, Antonino Giarratano e Flavia Petrini nel documento realizzato. Tutto ciò può potenzialmente portare anche «all’insorgenza del dolore cronico». D’altra parte, i tre esperti ritengono che servano ulteriori studi per indagare sul legame tra l’aumento dell’espressione delle citochine pro-infiammatore e il dolore più grave nelle persone affette da Covid-19. «Crediamo anche che i ricoveri ospedalieri dovuti a COVID-19, specialmente nelle Unità di Terapia Intensiva, possano avere un impatto importante sul dolore nel medio-lungo periodo».
SIIARTI “COVID PUÒ CAUSARE DOLORE CRONICO”
I pazienti ospedalizzati per Covid-19 potrebbero essere soggetti ad un aumento del rischio di sviluppare il dolore cronico o di peggiorarlo. Da qui la richiesta da parte di Siaarti di studi epidemiologici. In attesa di ciò, «il trattamento analgesico non dovrebbe essere negato né ai pazienti ricoverati per COVID-19 che si sottopongono a riabilitazione, né ai pazienti già affetti da dolore cronico». Ma si pone un problema sulla terapia analgesica. Utile nel post Covid, può invece mascherare i sintomi precoci dell’infezione e portare ad una diagnosi tardiva della malattia. Inoltre, Siiarti parla di alcune zone d’ombra che meritato l’attenzione della comunità scientifica. «In primo luogo, è fondamentale che venga effettuata una corretta valutazione dell’importanza del trattamento del dolore nei pazienti che si stanno riabilitando dopo il COVID-19». E bisognerebbe valutare anche il trattamento più adatto per questi pazienti.