Il coronavirus può portare al morbo di Parkinson. A lanciare l’allarme è il Florey Institute, autorevole istituto australiano di neuroscienza e salute mentale, che conferma che il Covid ha pure conseguenze neurologiche. Tra queste anche una forte escalation dell’incidenza del morbo di Parkinson. Dallo studio è emerso che molti pazienti affetti da Covid-19 subiscono un’infiammazione neurale. Ciò è un fattore di rischio di contrarre il Parkinson. I ricercatori, guidati da Leah Beauchamp, specializzata in perdita olfattiva da Parkinson, raccomandano quindi trattamenti tempestivi e un ampio screening. Inoltre, nella relazione pubblicata sul Journal of Parkinson’s Disease, spiegano che questa malattia degenerativa rischia di diventare probabilmente un “terza ondata della pandemia di Covid-19”. Stimano, infatti, che tre persone su quattro con coronavirus subiscono sintomi neurologici. I sintomi stessi – come encefalite e perdita dell’olfatto – sono forse riportati per difetto. Per questo pensano che sia fondamentale sviluppare un protocollo di screening di massa per identificare le persone che rischiano di contrarre il morbo di Parkinson o che sono nelle prime fasi della malattia.



COVID E MORBO DI PARKINSON, “UN’ONDATA SILENZIOSA”

Test di olfatto e vista, ma anche scansioni cerebrali, possono essere alcuni degli step per identificare sintomi motori. Ma i ricercatori del Florey Institute evidenziano la necessità di sviluppare terapie farmacologiche che, se amministrate in maniera tempestiva, possono rallentare o fermare lo sviluppo del morbo di Parkinson. Gli studiosi del Florey Institute of Neuroscience and Mental Health si chiedono, quindi, se il mondo sia pronto ad un’ondata di conseguenze neurologiche provocate dal Covid. «Sebbene gli scienziati stiano ancora cercando di conoscere in che modo il virus SARS-CoV-2 sia in grado di arrivare al cervello e al sistema nervoso centrale, è acclarato il fatto che questo si verifichi», ha dichiarato il professor Kevin Barnham. Il coronavirus può causare danni alle cellule cerebrali e innescare un «potenziale processo neurodegenerativo». A tal proposito, fa l’esempio di quanto accaduto dopo la pandemia di influenza spagnola nel 1918: «Il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson aumentò da due a tre volte. Dato che la popolazione mondiale è stata nuovamente colpita da una pandemia virale, la situazione è davvero molto preoccupante».

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