Uno studio italiano, coordinato dall’Università Statale di Milano, ha confermato quali sono le conseguenze neurologiche del Covid, che persistono in alcuni pazienti anche diversi mesi le dimissioni dall’ospedale. Pubblicata sulla rivista scientifica Brain Sciences, la ricerca indica la valutazione delle funzioni cognitive cinque mesi dopo l’uscita dall’ospedale in un gruppo di 38 pazienti che erano stati ricoverati, con età tra i 22 e i 74 anni, senza disturbi della memoria o dell’attenzione prima del ricovero. Emergono rallentamento mentale e difficoltà di memoria come sintomi più persistenti. Alcuni pazienti continuano a lamentare stanchezza e mancanza di lucidità, fatica nelle attività quotidiane più semplici, come fare la spesa o guidare la macchina.
Inoltre, si sentono meno reattivi, come imprigionati in una sorta di nebbia cognitiva, ma hanno a che fare anche con problemi di memoria. Al lavoro su questa sofferenza silenziosa, che è stato coordinato da Roberta Ferrucci, hanno collaborato Centro Aldo Ravelli del dipartimento di Scienze della salute dell’Università di Milano, Asst Santi Paolo e Carlo e dell’Irccs Istituto Auxologico di Milano.
I DISTURBI NEUROLOGICI NEI GUARITI COVID
Sei pazienti su dieci guariti dal Covid subiscono un rallentamento mentale e ottundimento, invece due su dieci accusano oggettive difficoltà di memoria. Non si tratta di disturbi legati a depressione, ma correlati alla gravità dell’insufficienza respiratoria accusata durante la fase acuta della malattia. Queste alterazioni sono state registrate anche nei soggetti giovani che erano stati affetti da Covid. Per Alberto Priori, direttore della Clinica neurologica dell’Università di Milano presso il Polo Universitario Ospedale San Paolo, si tratta di uno studio importante da cui emerge che «i disturbi di memoria e il rallentamento dei processi mentali osservati, in più della metà dei nostri pazienti, persistono anche mesi dopo la dimissione». Come riportato dall’AdnKronos, ha evidenziato anche che queste alterazioni, nei casi più gravi, «possono anche interferire con l’attività lavorativa», soprattutto per chi riveste un ruolo per il quale deve prendere decisioni rapide, come medici e infermieri. Proprio definisce «complesso» il meccanismo per il quale il coronavirus altera le funzioni cognitive. «L’interessamento del sistema nervoso origina sia da una diretta invasione da parte del virus, sia indirettamente attraverso l’attivazione dell’infiammazione e della risposta sistemica all’infezione», ha concluso Priori.