Ci sono molti studi a sostegno di una correlazione tra la gravità e il tasso di mortalità delle infezioni Covid con il livello di vitamina D3 nel sangue. Ma c’è un nesso causale? Il dibattito da questo punto di vista è ancora aperto. Questo per alcuni ricercatori è legato al fatto che nella maggior parte delle ricerche il livello di vitamina D è stato determinati giorni dopo il contagio. Quindi, un basso livello di vitamina D potrebbe essere l’effetto, non la causa del decorso dell’infezione. Un nuovo studio, basato sulla meta-analisi di due serie indipendenti di dati, ha provato allora a dare una risposta a questo interrogativo. A curare questo lavoro sono i ricercatori indipendenti Lorenz Borsche e Bernd Glauner in collaborazione con Julian von Mendel dell’IU International University of Applied Sciences.
Lo studio, pubblicato in pre-print su medRxiv, si basa su una prima analisi di livelli medi di vitamina D3 a lungo termine documentati in 19 paesi, una seconda analisi su 1601 pazienti ospedalizzati, 784 dei quali avevano livelli di vitamina D misurati entro un giorno dal ricovero e 817 con livelli noti prima dell’infezione Covid.
“AFFIANCARE VITAMINA D A VACCINAZIONE”
«Le due serie di dati mostrano una forte correlazione tra il tasso di morte causato dalla SARS-CoV-2 e il livello di vitamina D nel sangue», concludono i ricercatori. Ma quando il livello di vitamina D raggiunge una soglia di 30 ng/ml, allora la mortalità da Covid diminuisce sensibilmente. «Inoltre, la nostra analisi mostra la soglia 50 ng/ml di vitamina D3 può prevenire qualsiasi rischio di mortalità», hanno aggiunto nelle loro conclusioni. Pertanto, suggeriscono di affiancare alla vaccinazione un piano di «rafforzamento del sistema immunitario di tutta la popolazione con un’integrazione di vitamina D3 per garantire costantemente livelli ematici superiori a 50 ng/ml (125 nmol/l)» nella convinzione che così si possano salvare molte vite e che si possa incrementare l’efficacia della vaccinazione.
Infine, i ricercatori evidenziano che «esiste un ampio supporto basato sui dati per l’effetto protettivo della vitamina D contro i contagi da coronavirus», ma suggeriscono nuovi studi per «convincere la comunità medica e le autorità sanitarie che i test e l’integrazione di vitamina D sono necessari per evitare infezioni fatali e per essere preparati a nuove pericolose mutazioni».