INCHIESTA COVID, L’AMMISSIONE DI SPERANZA DAVANTI AI PM: “NON SAPEVO CHE FARE”
La maxi inchiesta sul Covid aperta dalla Procura di Bergamo per far luce sui primi mesi della pandemia da Sars-CoV-2 in Italia ogni giorno fa emergere – con l’uscita di intercettazioni, chat e documenti – il carico di accuse che potrebbe essere al centro del processo ormai sempre più probabile nei prossimi mesi contro i vertici del Governo Conte-2 e di Regione Lombardia. La mancata zona rossa nei paesini della Bergamasca, l’inesistenza di un piano pandemico, la catena di comando incagliata tra Cts, Ministero e Governo: tutto è sottoposto al vaglio degli inquirenti con la forte polemica degli indagati che ancora una volta vengono a sapere dei fascicoli prima dalla stampa che non con termini ufficiali di garanzia.
Le ultime novità che emergono dalle indagini riguardano in particolare modo la figura di Roberto Speranza, leader di Articolo1 ma all’epoca Ministro della Salute e completamente travolto (come tutti in quei mesi tremendi) dall’arrivo della pandemia ancora tutta da conoscere. Sentito dai pm di Bergamo in un’audizione di gennaio 2021, l’ex Ministro rispose così in merito a quanto avvenuto in quelle settimane nefaste: «Ciò che ci mancava era il manuale di istruzione su come fronteggiare un virus sconosciuto. Il piano era datato e non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale». Davanti alle domande insistenti dei pm titolari sull’inchiesta Covid di Bergamo, sul perché il piano pandemico non venne mai aggiornato dal 2006 fino ai giorni del Covid-19, Speranza rispose dando “colpa” al direttore generale della Prevenzione del Ministero, Claudio D’Amario (anche lui oggi indagato per epidemia colposa, ndr). Ma è quella ammissione sul “non sapere che fare” davanti all’avanzata del Covid a sorprendere, specie alla luce di quanto dallo stesso ex Ministro della Salute fieramente rivendicato nel famoso libro sulla pandemia mai pubblicato: «Credo che, dopo tanti anni controvento, ci sia davvero una nuova possibilità di ricostruire un’egemonia culturale su basi nuove. Sono convinto che abbiamo un’opportunità unica per radicare una nuova idea della sinistra», si legge nel volume di Roberto Speranza mai poi pubblicato in Italia visto che la pandemia era tutt’altro che sconfitta e abbattuta. Non solo, il 24 febbraio 2020 lo stesso Speranza affermava quanto segue: «Non bisogna creare allarmismi, la situazione è sotto controllo, stiamo parlando di numeri residuali… È indispensabile che ci sia un solo centro di coordinamento ma siamo messi meglio dei principali Paesi europei».
LE CHAT CHOC TRA SPERANZA E CTS: “NON DATE NOTIZIE POSITIVE”. E SULLE MASCHERINE…
Solo qualche giorno dopo l’affrettarsi dei casi Covid e i focolai in crescita raccontavano una realtà completamente diversa e che ora l’inchiesta Covid vuole provare a ricostruire: su questo sono piuttosto clamorose le chat pubblicate in questi giorni dai principali organi di stampa (ricevute evidentemente da fonti della Procura di Bergamo), specie quelle tra il ministro della Salute Speranza e il Presidente dell’ISS Silvio Brusaferro, nonché responsabile del Cts. «Il 6 aprile del 2020 il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, e il ministro Roberto Speranza stanno tenendo una delle loro frequentissime conversazioni. Già l’idea che il super esperto membro del Cts e il ministro si sentano per concordare la linea – scrive Francesco Borgonovo su “La Verità” oggi, pubblicando stralci di quelle chat– è molto sgradevole, dato che dovrebbero muoversi in maniera indipendente. Ma ancora più sconcertante è ciò che si dicono. Stanno iniziando a valutare l’idea di riaprire qualcosa, anche se il lockdown sarebbe finito soltanto un mese dopo. Il presidente dell’Iss invia a Speranza un documento che, a quanto si capisce, è tutto sommato ottimistico sull’andamento dell’epidemia».
A quel punto Brusaferro a Speranza invia il documento con report con Inail e Merler: «Riusciremo a fare un modello ancora più preciso sul tipo di attività industriale da aprire ed il suo possibile impatto. Non sarà pronta domani… perché appena esplorata ma nei prox giorni. Ti tengo informato, domani sera dopo incontro con voi ti aggiorno. Per domani presentiamo quello che già conosci». La risposta di Speranza è quella che impressiona però: «Domani tieniti sulle curve all’inizio. Poi vediamo domande. Due avvertimenti: 1) tutto quello che direte può finire fuori alla stampa. 2) se vogliamo mantenere misure restrittive conviene non dare troppe aspettative positive». Il Ministro insomma ha dettato la linea politica alla scienza, imponendo di non dare troppe notizie positive altrimenti i locddown e le zone rosse di lì a poco non sarebbero state accettate dalla popolazione. In maniera sibillina “La Verità” si chiede se questo “iter” anomalo possa essersi ripetuto in altre occasioni nei due anni e mezzo di pandemia con Speranza al timone del Ministero della Salute. Da ultimo, sono altri due messaggi dell’aprile 2020 a far discutere nella maxi inchiesta sul Covid: ancora in una chat con Brusaferro, il Ministro ammette che sulle mascherine «va detto che uso massivo non è garanzia di stop contagio»: era il 20 aprile e tra gli ambienti della scienza nel Governo si sottolinea come l’utilizzo delle mascherine di per sé non garantisce lo stop al contagio da Covid. Eppure, spiega ancora “La Verità”, il 26 aprile – quattro giorni dopo quella conversazione – il Premier Conte in un Dpcm prescrive l’obbligo di impiegare mascherine praticamente dovunque, al chiuso ma anche all’aperto, «in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuativa- mente il mantenimento della distanza di sicurezza».