Usando una metafora calcistica, la squadra di chi chiede con forza nuove misure restrittive e nuovi lockdown ieri ha evidenziato un “possesso palla” nettamente superiore, creando almeno quattro occasioni da gol. La prima: per la Cabina di regia siamo in una “fase ancora delicata, resta il rischio di un aumento”, anche se l’indice Rt nazionale cala ancora, a 0,84, e per la seconda settimana consecutiva resta sotto 1. La seconda: un rapporto dell’Intelligence consegnato a Palazzo Chigi rivela che i contagi sarebbero sottostimati del 50% e la curva epidemiologica non sta piegando verso il basso. La terza: sul fronte vaccini anche Moderna taglierà del 20% le forniture e il commissario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arturi, ha lanciato l’allarme: “Ci mancano almeno 300mila dosi”. La quarta: la variante inglese, secondo i medici delle Uscar, contagia anche chi porta le mascherine chirurgiche, perché “il virus si sta adattando alle contromisure che usiamo per proteggerci”. Sul versante opposto, invece, il tabellino ha fatto segnare un solo contropiede efficace: una macro-view sulla pandemia a livello mondiale di Bloomberg ha ipotizzato che “il punto di svolta” si sta avvicinando, tanto che la situazione dovrebbe “visibilmente e rapidamente migliorare da inizio aprile”. Per tentare allora di capire se il risultato finale penderà davvero a favore di chi vorrebbe più chiusure o se invece esiste ancora la possibilità di capovolgere il pronostico, abbiamo intervistato il professor Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
Bloomberg intravede un punto di svolta nell’evoluzione mondiale della pandemia che potrebbe verificarsi ad aprile, anche in virtù della “costante crescita dei programmi vaccinali”. Che cosa ci dicono oggi le curve epidemiologiche in Italia? Andiamo incontro a una stagione meno favorevole al virus?
Di sicuro ci sono due elementi. Il primo: dalla primavera in poi questo coronavirus, come ha dimostrato l’anno scorso, perde gran parte della sua capacità di infettare perché – diciamo così per capirci – “soffre il caldo”. Il secondo: il tempo non gioca a favore del Covid.
Perché?
Il virus in questo momento infetta solo noi umani. Ebbene, oggi abbiamo un numero di infettati molto elevato: si calcolano a livello globale una sessantina di milioni di contagiati, ma probabilmente sono molti di più perché in molti casi i tamponi non vengono eseguiti. In secondo luogo, aumenteranno sempre più le persone vaccinate: oggi i numeri sono evidentemente ancora molto piccoli, ma è ragionevole pensare che la quota sia destinata via via a crescere sensibilmente. Terzo: la mascherina e il distanziamento hanno dimostrato la loro chiara efficacia nel contrasto alla diffusione dell’epidemia. Con questi tre ostacoli il virus comincia ad avere difficoltà a trovare persone da infettare. Lentamente, ma non sappiamo quanto lentamente, la curva dei contagi, considerando anche l’arrivo dei mesi più caldi, tenderà a diminuire. Insomma, il tempo gioca a nostro favore. Detto questo, indicare in aprile il mese della svolta è solo un’ipotesi di lavoro.
Un rapporto dell’Intelligence rivela che i contagi sono sottostimati del 50%, perché si è perso il controllo del tracciamento e si è fatta troppa confusione mischiando i risultati dei tamponi antigenici con quelli molecolari. Che cosa ne ricava da questa fotografia?
Che le infezioni siano fortemente sottostimate è certissimo. Tutti gli asintomatici, e sono milioni, che non sono stati classificati come contatti, non sono entrati nel circuito dei tamponi e quindi non sono stati testati. Oltre tutto, i tamponi antigenici non prendono le persone con carica virale bassa: con questi test noi diamo valori negativi a persone che non sono in quel momento infettanti, ma molto probabilmente sono contagiate. Non a caso, proprio per questa ragione, da sempre sono contrario all’utilizzo dei test antigenici.
Sulla campagna vaccinale, intanto, si addensano nuove nubi: anche Moderna taglierà del 20% le dosi e il commissario Arcuri denuncia che “ce ne mancano almeno 300mila”. Questo potrebbe essere un punto di vantaggio per il virus, non crede?
Teoricamente sì. Basta fare l’esempio estremo: se vaccinassimo i 60 milioni di italiani tutti nello stesso giorno, è chiaro che metteremmo il virus nelle condizioni di non poter più infettare nessuno. Quindi, tanto più si ritarda la somministrazione del vaccino, tanti più vantaggi si danno al virus. C’è da auspicare che il taglio sia transitorio e breve, come dichiarano tutte le società farmaceutiche. Se fosse più lungo, si creerebbe un problema serio.
Quanto dobbiamo preoccuparci per le varianti del virus? Ce ne sono in giro troppe?
Quando genera varianti il virus è sempre un problema. Però nel momento in cui lo fa il coronavirus, che è un virus che varia poco, prima di preoccuparci occorre analizzare bene la situazione.
In che senso?
Se le varianti le avessero fatte i virus dell’epatite C o dell’Hiv, mi sarei preoccupato, perché sono due virus ad altissimo tasso di variazione: in quei casi, una variante significa perdere efficacia negli anticorpi o del vaccino.
E con il Covid?
Tutti parlano di varianti, e ci sono, ma questo è un virus che al momento attuale è conosciuto per variare poco. Quindi ho difficoltà a preoccuparmi. Occuparmene sì, perché non sappiamo mai dove si va a finire, però preoccuparmene, nel senso etimologico della parola, no. Non c’è nessuna evidenza che queste varianti generino problemi.
I medici delle Uscar, però, hanno lanciato l’allarme sulla variante inglese, perché “buca” le mascherine chirurgiche, mettendo così in discussione uno dei capisaldi della profilassi anti-Covid. Che ne pensa?
Se parliamo di varianti che “bucano” la mascherina, è una stupidaggine colossale. Se parliamo di varianti che infettano di più e in quantità maggiore, è giusto ricordare che le mascherine sono un presidio transitorio e temporaneo, evitano il contagio in caso di contatti con un infetto per un certo lasso di tempo. Poi, se si trascorrono molte ore al chiuso con un contagiato, prima o poi la mascherina cede. Ma la mascherina è un presidio temporaneo estremamente efficace, che non è “bucabile” da nessuna variante.
Alla luce di tutte queste osservazioni, è sensato tornare a parlare, come si fa da più parti, di epidemia a rischio fuori controllo e di necessità di nuovi lockdown?
La soluzione migliore è impedire i contatti, è chiaro. Ma questo bisogno va giustamente contemperato con la necessità di mantenere un tessuto, sociale ed economico, vitale.
Si può trovare un punto di equilibrio, anche se non è facile?
Se tutti rispettassimo le regole, non avremmo bisogno di lockdown, perché un lockdown altro non è che un’applicazione forzata di precauzioni che già abbiamo: utilizzo della mascherina e distanziamento sociale. E’ auspicabile, da un lato, che gli italiani, tutti, rispettino le regole e dall’altro che nei limiti del possibile i lockdown vengano decisi solo se ritenuti veramente necessari. Ogni lockdown è un problema per la gente e per le imprese.
C’è chi dice che questa estate non andremo in vacanza, perché saremo in zona rossa e questo taglia alla radice il problema, visto che gli spostamenti sono vietati. E’ uno scenario ineludibile?
Sono stupito di queste previsioni basate sul nulla. Al momento attuale non vedo ragioni per cui debba accadere questo. Guardando all’evoluzione della pandemia, alla presenza del vaccino e al fatto che d’estate il virus perde carica virale, non riesco a capire perché oggi dovremmo pensare a un lockdown estivo.
(Marco Biscella)