Più di 1.800 morti in sole 24 ore, il dato più alto al mondo registrato durante l’ultima settimana, e una media giornaliera di 950 vittime negli ultimi sette giorni. Un doppio record negativo che il Regno Unito fa registrare sotto i colpi di un Covid che, proprio con la variante inglese, sembra aver raggiunto un’aggressività e una trasmissibilità che neppure un terzo lockdown sembra in grado di contenere efficacemente. Mentre nel paese la campagna di vaccinazione procede spedita (finora sono stati somministrati 4,26 milioni di dosi, un dato che colloca il paese tra i primi 5 al mondo per numero di vaccinazioni eseguite), un britannico su dieci infatti è già entrato in contatto con il Covid: secondo la Johns Hopkins University da inizio pandemia a ieri in Gran Bretagna si sono registrati oltre 3,47 milioni di casi e più di 93mila decessi. “La situazione in effetti è tragica” ammette Mario Fittipaldi, cardiochirurgo pediatrico presso il St. Thomas Hospital di Londra, a Westminster a cui come a molti suoi colleghi è’ stato chiesto di collaborare nei reparti Covid.



Come si è arrivati a questo punto?

E’ un problema innanzitutto culturale. In Gran Bretagna è molto difficile far capire l’importanza del mantenere il distanziamento, dell’evitare gli assembramenti o dell’obbligo di indossare le mascherine, su cui invece in Italia si insiste tantissimo. Gli inglesi si sentono un popolo libero, come ha ricordato tempo fa lo spesso premier Boris Johnson, e per noi italiani è stranissimo il concetto che gli inglesi hanno delle regole.



In che senso?

In Italia quando si propone una legge si pongono dei divieti: per esempio, è vietato uscire di casa.

E in Gran Bretagna?

Qui non c’è un divieto esplicito a uscire di casa. Il messaggio che ha lanciato il governo è: dovete restare a casa. Che però non implica alcun divieto a non restarci. A questo si aggiunge un problema economico, legato al fatto che, a differenza della scorsa estate quando le città più interessate dalla pandemia erano state Manchester e Liverpool, dove era stato fatto un lockdown serio, questa terza ondata del Covid ha colpito soprattutto Londra.

Londra non si può fermare?



Se si ferma Londra, si ferma l’Inghilterra. E’ un problema reale, che si è già vissuto dopo la prima ondata, quando tutti erano a casa e non si aveva la percezione, come in Italia, di quanti fossero i malati. Oggi con il secondo e il terzo lockdown di fatto non è cambiato nulla. Non c’è, per esempio, una chiara definizione dei key workers, cioè dei lavoratori essenziali.

A Londra siamo al terzo lockdown. Sono inutili e non riescono a fermare i contagi?

Il problema è che non è un lockdown in senso stretto piuttosto diciamo che assomiglia molto a una zona arancione. Oltre all’invito a stare tutti a casa, non prevede una chiara distinzione delle attività consentite e le stesse aperture, a partire dal settore del real estate, sono meno stringenti rispetto al primo lockdown. Si è insomma cercato un compromesso, tra l’altro mal riuscito, tra la necessità di mantenere delle regole sanitarie e la necessità di tenere attiva l’economia, senza fermarla del tutto, visto che il paese è a ridosso della Brexit.

I trasporti funzionano a pieno regime?

Durante il primo lockdown i trasporti pubblici sono andati in crisi, perché sono stati ridotti al 30%, oggi invece la gente, che continua ad andare a lavorare, è tornata a prenderli normalmente, con alcuni limiti di capienza.

Quanto pesa la variante inglese?

Non sono un infettivologo, ma un cardiochirurgo pediatrico, quindi non so rispondere. Di certo si sa e vediamo che la variante inglese è molto trasmissibile.

Ospedali e terapie intensive sono sotto stress?

Sono molto affollate e l’attività chirurgica elettiva è stata praticamente sospesa, tanto che in molti ospedali hanno dovuto appoggiarsi alle cliniche private. Rispetto alla prima ondata la situazione è molto peggiore. L’età media si è notevolmente abbassata: oggi i pazienti non sono più soprattutto gli over 70enni, ma persone in età lavorativa. Di positivo va sottolineato il fatto che il ricambio è più veloce e il tempo di permanenza nelle terapie intensive è diventato più breve, perché si tratta di pazienti che presentano minori complicanze.

Come sta rispondendo l’Nhs, il servizio sanitario nazionale?

Premesso che deve far fronte a numeri veramente drammatici, l’Nhs, che fu definita la “religione nazionale”, ha dimostrato una grande organizzazione, con una presenza capillare sul territorio, e questa è la sua forza. E’ un sistema centralizzato, con una filiera – medicina di base, ospedali di territorio e grandi ospedali – uniforme ovunque e non frammentata come in Italia, dove esistono i diversi Servizi sanitari regionali con le loro difformità di prestazioni e outcome.

Intanto in Gran Bretagna è partita una grande campagna vaccinale, visto che sono state vaccinate già più di 4 milioni di persone. Può aiutare ad arginare questa situazione?

E’ vero. Però, viste la quantità limitate di dosi allocate e con l’idea di vaccinare più gente possibile, il governo ha deciso di dare a tutti la prima dose – e di distanziare la seconda dose non seguendo quanto prescritto inizialmente dalla Pfizer, cioè dopo 21 giorni, bensì dopo 12 settimane. Si spera che dopo un arco di tempo così lungo il vaccino sia ancora efficace.

(Marco Biscella)

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