Siamo fuori dall’emergenza sanitaria, così come dichiarato il mese scorso dall’Oms. Eppure si continua a parlare di Covid, e ancora questo virus continua a generare varianti. Gli esperti ci hanno anticipato che dovremo conviverci ancora per molto tempo data la sua endemicità. Lascia però ancora stupiti quando sentiamo parlare di “eterni positivi”. Chi sono esattamente?



Si tratta di soggetti in cui il Covid resta nell’organismo a lungo tempo, generando continue mutazioni. Già aveva fatto parlare di sé il caso di una donna di 48 anni immunocompromessa con diabete di tipo 2 e un linfoma a grandi cellule B alle spalle, rimasta positiva per 335 giorni. E da ultimo, nell’aprile 2022, si è avuto un paziente in cui sono state rilevate ben 10 mutazioni, in Alfa, Gamma e Omicron. L’uomo ha convissuto 505 giorni con il virus, poco meno di un anno e mezzo, e non è riuscito a sconfiggerlo. Il paziente infatti non ce l’ha fatta ed è morto. Questi sarebbero però i casi resi più noti come apprendiamo su Repubblica, ma non sarebbero gli unici dall’inizio della pandemia. Tanto che sono stati effettuati studi per capire come possa cambiare il virus mentre alberga in persone col sistema immunitario ‘disattivato’.



Nuovi studi sul Covid, ecco cosa rivela lo studio

La ricerca è stata condotta da un team di scienziati del King’s College London e del Guy’s and St Thomas’ Nhs Foundation Trust. “Volevamo indagare su quali mutazioni si verificano e se le varianti si evolvono in queste persone con infezione persistente“, spiega Luke Blagdon Snell, del Guy’s and St Thomas’ Nhs Foundation Trust, primo autore dello studio. “Alcune di queste varianti si trasmettono più facilmente, causano malattie più gravi o rendono i vaccini meno efficaci. Una teoria è che si evolvano in persone il cui sistema immunitario è indebolito da malattie o trattamenti medici come la chemioterapia, che possono avere un’infezione prolungata da Sars-CoV-2”.



In pratica quindi coloro che si ritrovano con un sistema immunitario indebolito a causa di trapianti d’organo, infezioni da Hiv, cancro o terapie mediche per altre malattie, sono più predisposti a sviluppare mutazioni. Restano però ancora interrogativi. “E’ importante notare, tuttavia, che nessuno dei pazienti coinvolti nel nostro lavoro ha sviluppato nuove varianti che sono diventate successivamente varianti di preoccupazione diffuse“, precisano inoltre gli autori. In aggiunta, “mentre questo studio mostra che negli immunocompromessi potrebbero sorgere varianti, rimane ignoto se le varianti di preoccupazione” che sono diventate dominanti, “come Alfa, Delta e Omicron, siano sorte in questo modo“.