Il Covid in America è già alla terza ondata. Ce lo spiega Francesco Rotatori, direttore di cardiologia al Richmond University Medical Center di Staten Island, New York. Le tre ondate hanno colpito di volta in volta Stati differenti, tanto che in questo momento la città che fu inizialmente la più colpita, New York, sembra tutto sommato aver ritrovato una relativa tranquillità, mentre imperversa la terza ondata nel Midwest. Anche a New York però (contrariamente a quanto i dati potrebbero far immaginare) la guardia resta ancora molto alta e il rispetto delle misure d’igiene (e delle chiusure necessarie) è rigoroso. E com’è in questo momento l’Italia vista dall’America? Nel nostro Paese il virus sembra andare incontro a una distribuzione ormai uniforme, toccando anche le zone che ne erano rimaste esenti e continuando a concentrarsi (come nel caso della Lombardia) nelle stesse aree che hanno subìto la violenza della prima ondata.



Qual è oggi la situazione in America?

Ci tengo a precisare che io sono medico, clinico, non ho esperienza di ricerca e non sono un epidemiologo, mi informo ma non posso avere la visione d’insieme che possono avere Anthony Fauci e altri. Quello che dico quindi è quello che osservo nel mio ambiente. Detto questo, la mia premessa è: ritengo che guardare la situazione del Covid basandosi sul numero degli infetti sia una cosa molto riduttiva, sia rispetto a quello che succede in America, sia rispetto a quello che succede in Italia.



In che senso?

Il numero di infetti a New York non è molto alto, il numero di persone testate invece è assolutamente rilevante. Le scuole pubbliche di Brooklyn testano random il 20% di staff e studenti a settimana. Voglio dire che c’è anche un interesse a scovare gli asintomatici, ma i numeri di oggi non sono assolutamente comparabili a quelli che vedevamo a marzo, quando facevamo il test a coloro che erano malati, e neanche a tutti, perché a molti dicevamo di stare a casa.

A New York ora i numeri sono comunque bassi?

I numeri si stanno mantenendo relativamente bassi, c’è stato un incremento nel mese di settembre, ma per tutta l’estate a New York c’erano 200-300 casi al giorno, nell’ultima settimana siamo saliti a 1.500-2.000 al giorno. Confrontando il numero di test fatti però in tutto il New York State, in cui New York City è sicuramente l’area più importante, ci sono stati ieri 1.632 positivi, sono stati fatti 120.000 test, con un tasso d’infezione dell’1,3%. Brooklyn, che ha 2 milioni e mezzo di abitanti, ha avuto 214 positivi su 14.425 persone testate, quindi il rate d’infezione è dell’1,48%. Manhattan ha lo 0,93%, con 113 positivi su 12.000 testati. Staten Island, dove lavoro io, ha l’1,5%, con 44 positivi su 2.219 testati.



Dati tranquillizzanti?

Sono numeri relativamente bassi, specie rispetto al resto d’America, e questo va correlato anche al numero di ricoverati nelle Icu (Intensive Care Units, terapie intensive, ndr). Per esempio, sabato nelle Icu dello Stato di New York c’erano 900 pazienti Covid e la capacity delle Icu nel New York State è di 51.000 posti letto, quindi siamo al di sotto di qualsiasi livello di guardia o di attenzione. Quando abbiamo avuto il picco a marzo avevamo 51.000 pazienti, le Icu erano piene.

Psicologicamente che aria si respira rispetto all’Italia?

C’è una grossa differenza. Ho qualche amico in Italia e mi sembra che qui ci sia più riconoscimento e più attenzione. I miei bambini per esempio vanno a scuola e hanno il banco col plexiglas separato, la mascherina, nelle scuole testano la febbre al mattino. A New York tutti indossano la mascherina fuori, se vai in giro senza ti guardano male. Nella maggior parte di Manhattan la gente non è ancora tornata in ufficio, lavorano in remoto. Alcuni posti hanno riaperto, ma ad esempio tra i miei amici che lavorano nella finanza nessuno è tornato ancora in ufficio, lavorano tutti da casa.

Quando riaprirete all’Europa?

Nessuno sa cosa succederà, secondo me la situazione adesso andrà peggiorando, visto quello che è successo in Italia in un modo o nell’altro andrà un po’ peggio di come è adesso. Oggettivamente, nel mio ospedale, durante il picco avevamo 260 pazienti ricoverati per Covid, ora ne abbiamo 6-7, 2 in terapia intensiva, son lì da due settimane. Ma venerdì a New York non è morto nessuno di Covid.

Quelli in terapia intensiva sono pazienti anziani o con altre patologie?

Uno è anziano, l’altra è una ragazza giovane.

In Italia la curva è tornata a essere esponenziale e sono ricominciate le chiusure, c’è molta agitazione, anche sociale. Cosa vedete da lì?

Quello che vediamo in Italia è molto preoccupante. E francamente alcune cose sono anche alquanto inspiegabili. Per esempio, guardando l’America io vedo che quella attuale è la terza ondata.

Le altre due?

La prima ondata è stata da marzo a maggio nel North-East, New York e altre zone, poi è finito tutto ed è iniziato nel resto d’America con una seconda ondata che ha investito Texas, Arizona eccetera. Ora abbiamo la terza wave che colpisce il Midwest: Michigan, Minnesota eccetera sono le zone in difficoltà adesso. Le ondate hanno colpito posti diversi, l’America è grande ovviamente, qui a New York ora siamo ok, ma in altri posti stanno vivendo quasi la prima ondata.

E l’Italia?

Pensavo che in Italia sarebbe successa la stessa cosa, per certi versi è così. Parlavo con un mio amico umbro che mi diceva che la sua regione è stata protetta dalla prima infezione, ma adesso il virus sta dilagando, è come la prima ondata per loro. Milano e la Lombardia però non me le so proprio spiegare, sinceramente non capisco come sia possibile, perché mi sembrava che il virus si fosse diffuso rapidamente e in modo esteso.

Difficile che l’ondata colpisca due volte la stessa zona?

A New York ci sono diversi studi, non c’è un’evidenza scientifica chiara, ma ci sono studi che suggeriscono che alcune zone hanno raggiunto il livello critico della cosiddetta herd immunity, l’immunità di gregge. Per esempio, una delle zone più colpite dalla prima ondata a New York è stato il quartiere del Queens chiamato Corona, cosa peraltro abbastanza grottesca. Hanno fatto recentemente tamponi standard e hanno trovato che l’80% della popolazione era immunizzata, aveva gli anticorpi. Uno può dire che gli anticorpi se ne stanno andando ma, anche lì, ci sono studi che dicono che l’immunità non è data solo dagli anticorpi, c’è anche la T-cell immunity. Come mai in Lombardia sia ricominciato tutto da capo non me lo so spiegare.

Come curate adesso la malattia?

In questo momento mi pare che le cure siano abbastanza standardizzate, a differenza di marzo, quando provavamo di tutto. Adesso mi sembra che il Remdesivir e gli steroidi siano i due trattamenti fondamentali, col supporto dell’ossigeno.

Le elezioni presidenziali hanno cannibalizzato il tema del Covid?

Non credo, la maggior parte del dibattito presidenziale è appunto attorno alla gestione del Covid da parte di Trump, è uno dei maggiori punti di divergenza tra i due candidati e tra le due fazioni politiche. Se si guarda la mortalità in America, è maggiore rispetto a qualunque altro paese e di questo viene accusato Donald Trump con la sua gestione diciamo così “lasciva”, soprattutto nel modo in cui non promuoveva l’uso della mascherina. Devo dire che il dibattito sul Covid però è un dibattito assolutamente attivo, poi il fatto che ci sia la campagna elettorale fa sì che ci siano anche informazioni che non sono veritiere o comunque marginali.

Ad esempio?

Si parla tanto del numero d’infetti perché fa paura, ma non si parla del fatto che la letalità del virus è drammaticamente minore rispetto a prima.

In Italia le vacanze hanno vanificato gli sforzi di mesi, il fatto che l’America abbia chiuso ai Paesi a rischio e all’Europa ha aiutato il contenimento?

Sicuramente aver chiuso all’Europa è un fattore che ha contribuito. Qui a New York, anche se vieni da un altro Stato americano considerato unsafe, a rischio, devi fare quindici giorni di quarantena. Non c’è un solo fattore che causa la pandemia, ce ne sono tanti insieme.