Durante la prima ondata era riuscito ad arginare la pandemia, che pur lo aveva duramente colpito, e a essere additato come esempio virtuoso di gestione sanitaria, grazie alla politica del testing & tracing e all’efficienza della medicina territoriale: il Veneto oggi è invece una delle regioni col maggior numero di contagi e una situazione sanitaria non facile da gestire. Una nuova ordinanza introduce in vista del Natale misure più restrittive: coprifuoco anticipato e blocco degli spostamenti fra i comuni, vietati a partire dalle 14, da oggi fino al 6 gennaio. E allora viene da domandarsi: cosa è cambiato, da un punto di vista tecnico-scientifico e di gestione sanitaria, fra la prima e la seconda ondata? Ne parliamo col professor Stefano Merigliano, presidente della Scuola di medicina dell’Università di Padova, oltre che direttore della clinica chirurgica dell’Università e del Dipartimento chirurgico dell’azienda sanitaria.
Il Veneto è stato un esempio di gestione virtuosa della pandemia durante la prima ondata, perché oggi versa in questa situazione? Cosa è andato storto?
Non è andato storto niente, in realtà è l’impatto, l’aggressività del virus che stringe in tutta Europa. Cosa è andato storto in Germania, che torna in lockdown? Il fatto è che il virus ha circolato liberamente tutta l’estate, la gente ha pensato fosse tutto passato, in autunno sono ripartite scuole, università e trasporti. Inoltre sappiamo che il massimo sviluppo del virus avviene a una temperatura di 6-10 gradi, per cui l’autunno-inizio inverno è per il virus il momento migliore. La Regione Veneto, proprio perché ha un sistema sanitario che regge, è rimasta sempre in zona gialla.
E questo non ha aiutato?
La zona gialla viene calcolata sulla base di una serie di 21 parametri, è ovvio che se ci sono tanti positivi ma anche un’elevata capacità sanitaria si possono far crescere i positivi, perché il sistema sanitario regge. La differenza, poi, tra quello che appare e quello che viene percepito è un altro aspetto.
A cosa si riferisce?
Noi abbiamo più pazienti negli ospedali in questo momento e un numero molto alto di positivi, ma siamo la regione che fa il doppio dei tamponi rispetto alle altre. Chiaramente bisogna guardare la relazione fra il numero dei tamponi e i positivi. Come si è visto, ormai il 10% dei tamponi è positivo. Se poi si guarda al numero di morti rispetto al numero di abitanti, la Valle d’Aosta, per citare un esempio, ha un numero di morti per abitanti che è 4 volte quello del Veneto. Nella mia visione abbiamo avuto tutti un’impennata di virus imprevista, ovviamente bisogna trovare l’equilibrio tra la salvaguardia della vita, le ragioni dell’economia e l’atteggiamento psicologico delle persone.
Cioè?
Se c’è una guerra, un trauma enorme, una tragedia, a un certo punto la filosofia diventa quella di passarci sopra. Alcuni atteggiamenti sembrano inspiegabili, ma sono quelli che permettono di continuare a vivere.
Quindi rimproverare i cittadini non è giusto?
È un rimprovero giustissimo, perché c’è un rifiuto psicologico da parte della gente, che non vuole capire che il virus si diffonde tramite i contatti. Si possono imporre tutte le proibizioni del mondo, ma la gente esce, vive. Un po’ come quelli che si mettevano a ballare sotto le bombe o che si sposavano durante la guerra.
Il tracciamento e la medicina territoriale, con cui in Veneto si era riusciti nella prima ondata ad arginare l’emergenza, continuano a funzionare?
Assolutamente e terribilmente purtroppo. È anche per questo che abbiamo una marea di positivi, perché continuiamo a tracciare. Io l’ho visto sulla mia pelle, sono diventato positivo, dopo due giorni hanno tracciato mia moglie e mia figlia, conviventi e asintomatiche, tutte e due risultate positive. Ora siamo in isolamento, io per fortuna mi sono negativizzato. In un’altra regione non avrebbero fatto il tampone ai familiari, avrebbero detto: state a casa. La Lombardia magari ha più positivi di noi, non li fa vedere e sembra stia meno peggio.
Un problema di trasparenza?
Il problema vero è, da un lato, una maggiore trasparenza e, dall’altro, il sistema sanitario. Il nostro sistema sanitario è stato in grado di dare enormi risposte, continuiamo nonostante tutto a fare neurochirurgia, cardiochirurgia, chirurgia oncologica maggiore, è un grandissimo sforzo organizzativo. Oggi abbiamo creato anche un reparto chirurgico Covid. Tutti quelli che sono positivi al Covid ma hanno un problema chirurgico, anziché essere messi in isolamento, possono usufruire delle normali prestazioni chirurgiche.
Perché il sistema nel complesso è in sofferenza?
In base al principio dei 21 parametri, avendo noi dato enormi risposte, avendo gli ospedali Covid e avendo un sistema territoriale che tiene botta e garantisce tamponi a tutti, anche alle famiglie più periferiche, siamo rimasti in zona gialla e la gente ha percepito la zona gialla come una situazione di libertà. C’è poi un altro messaggio che vorrei lasciare.
Quale?
Certamente viviamo in un mondo difficile, in una situazione di tensione, ma c’è anche un senso di vita e libertà, siamo sotto Natale. Questo però è un virus molto aggressivo e si trasmette facilmente con il contatto: l’altro ieri, sono i dati della Johns Hopkins, sono stati superati i morti della Seconda guerra mondiale. Anche durante la guerra la gente cercava di vivere, si sposava, metteva al mondo figli. C’è, a volte, una regressione rispetto alla tragedia ed è quella che dà lo stimolo per andare avanti.
È un equilibrio difficile, non crede?
Difficilissimo. Noi come sanità siamo quella barriera che deve da un lato curare, e dall’altro mettere in sicurezza le persone. La logistica deve trasportare, i supermercati devono vendere, le aziende devono produrre, altrimenti si ferma tutto. Il messaggio però è questo: la gente deve darci una mano, mascherina e distanziamento sono fondamentali. Ora rinforziamo le misure, facciamo nuovi lockdown. Finché non arriva il vaccino, dobbiamo convivere col virus. Ma l’importante è non darsi mai per vinti.
(Emanuela Giacca)