L’INFEZIONE DA COVID19 E’ PIU’ LEGGERA? L’OPINIONE DEL ‘BMJ’
Il Covid-19 è diventato più mite e meno pericoloso? Questa è la domanda che ci si pone in una pubblicazione apparsa di recente sull’edizione online del British Medical Journal, la rivista medica pubblicata settimanalmente nel Regno Unito dalla BMA (British Medical Association): nell’articolo, scritto a quattro mani da Elisabeth Mahase e Mun-Keat Looi, si fa il punto della situazione sull’evoluzione della pandemia da nuovo Coronavirus in quest’ultima parte del 2022 riflettendo su cosa significhino il calo dei decessi e dei ricoveri ospedalieri e se l’infezione sia diventata, dopo le ultime mutazioni, effettivamente meno grave. “Has Covid-19 become milder?” è il titolo dell’articolo (a questo link) a cui i due autori rispondono subito in apertura in maniera netta, per evitare fraintendimenti e pur esplicando la loro tesi man mano.
La risposta, in breve, è no” spiegano, ricordando che si parla ancora di una malattia che può avere conseguenze mortali dato che ha ucciso oltre 1,1 milioni di persone in tutto il mondo a oggi: “Resta anche un alto rischio di ricovero in ospedale e per chiunque non sia stato immunizzato in precedenza” si legge, con riferimento alle differenze di vaccini usati nel mondo e di grandi Paesi come la Cina dove la popolazione è ancora esposta al virus. Citando l’opinione di Steve Griffin, professore associato presso l’Università di Leeds, quando si definisce la variante Omicron come lieve si fa riferimento alla sua minore capacità di penetrare in profondità nei polmoni. Tuttavia, a proposito della minore pericolosità della variante Omicron del virus SARS-Cov-2, lo stesso Griffin ricorda che, nonostante la minore probabilità di causare forme di malattia gravi, “l’impatto clinico è ancora molto marcato”.
“MENO CASI E DECESSI? MERITO DEI VACCINI: MA PAURA PER LE COMORBILITA'”
Non va dimenticato nemmeno che quando si parla di Covid-19 bisogna non farlo in astratto ma va tenuto conto del fattore legato alle varie comorbilità. “Il virus tende a peggiorare le altre malattie: ad esempio i pazienti con una Malattia di Crohn di lunga data la vedono peggiorare, e lo stesso accade nel caso della celiachia o dell’artrite” spiega David Strain, docente presso la facoltà di Medicina dell’Università di Exeter, citato anch’egli nello studio del BMJ. Inoltre, il vero tema da cui bisognerebbe partire per valutare se il Covid-19 sia diventato davvero “mild” come dicono alcuni è quello delle reinfezioni innanzitutto.
Infatti secondo alcuni esperti, i soggetti che hanno avuto una seconda o una terza reinfezione sono più soggetti a malattie cardiache, disturbi a livello renale e altri problemi di salute nel corso dei primi 30 giorni di infezione ma anche nei mesi successivi, e comunque in misura maggiore a chi è stato infettato una volta sola. Allora come mai ci sembra che la malattia stia diventando più lieve L’evoluzione della pandemia e l’aumento dell’immunità anche grazie ai vaccini fanno sì che la frequenza dei sintomi e anche i decessi siano in calo (qui si prende in considerazione il caso del Regno Unito, NdR): “Il ceppo originale ha avuto un impatto più invalidante per quanto riguarda le condizioni post-covidiche, perché un numero maggiore di persone ha avuto una malattia grave” ricorda Monica Verduzzo Gutierrez della Long School of Medicine di San Antonio (Texas) e spiegando che il virus è diventato più debole nelle persone vaccinate, ma questo non implica che la malattia sia “milder” in termini assoluti rispetto alla temuta variante Delta, arrivata dopo Alfa.
“COVID19 ELUSIVO: ATTENTI AI CASI DI REINFEZIONE E AL LONG COVID CHE…”
La preoccupazione del mondo scientifico, sintetizzata dal professor Eric Topol dello Scripps Research Institute in California, è che il virus ha una grande capacità di mutare a ritmi molto elevati, adattandosi molto bene (“Sono virus molto elusivi” afferma), senza dimenticare il problema del long Covid e gli ancora alti livelli di circolazione: secondo un rapporto dell’Institute for Fiscal Studies del Regno Unito dello scorso luglio “una persona su dieci sviluppa il long Covid e smette di lavorare, generalmente mettendosi in malattia piuttosto che perdere del tutto il lavoro”.
Nell’articolo, in conclusione, si accenna a tal proposito infatti a quelle categorie (insegnanti, operatori sanitari, autisti, ecc.) più esposti da questo punto di vista. “Non bisogna lasciar correre” conclude Topol lamentando il fatto che si hanno a disposizione tante misure valide per contrastare questo fenomeno ma non le si usa e che le risorse investite non sono sufficienti: “Sarebbe un investimento molto saggio perché la capacità di anticipare il virus ci farà risparmiare una quantità smodata di costi in seguito”.