La vita è un presente che va vissuto istante per istante anche perché il momento esatto in cui tutto finisce, oltre a non essere noto, non è nemmeno preannunciato. Per quanto sia certa la morte, incerto è il tempo del suo avvenimento e per chi resta dolore, ferite aperte e fantasmi da fronteggiare.

“È questo il momento di dirci addio? O è un ci vediamo mercoledì sera”?  A porsi questi interrogativi, nella stupenda canzone Breathing, sono i Cowboy Junkies, quartetto canadese composto dai fratelli Timmins e da Alan Anton, che in pieno lockdown ha reso disponibile su varie piattaforme streaming il nuovo album Ghosts.



Come mai questa diffusione in un periodo così infelice? Due mesi dopo la pubblicazione del precedente All that Reckoning (Resa dei Conti) è venuta a mancare la loro mamma. Questo evento drammatico li ha resi consapevoli di quanto, fino alla morte, ci siano sempre delle situazioni nuove e inattese da affrontare e quanto sia sempre prematuro tirare le somme di una vita: “Ghosts è il risultato di quella presa di coscienza; una serie di canzoni che ruotano intorno al lutto, al dolore, alla paura, all’ansia, alla bellezza; un insieme di canzoni che esaminano la complessità delle emozioni che si susseguono dopo la perdita di un genitore… Si occupano della resa dei conti definitiva, la resa dei conti che viene con la morte di una persona cara e la rivalutazione che si fa quando si cerca di elaborare una tale perdita” queste sono le parole pubblicate sul sito e sui social con cui la band ha voluto annunciare la distribuzione del nuovo album Ghosts. Originariamente i piani della band sarebbero dovuti essere differenti: l’intenzione iniziale avrebbe previsto la pubblicazione di un disco doppio contenente una versione rielaborata e rimasterizzata di All that reckoning completato poi con l’aggiunta di un album nuovo, per l’appunto Ghosts. Evidentemente questi interrogativi sulla vita e sulla morte sono stati così impellenti da non poter attendere il ritorno alla normalità delle attività distributive discografiche post Covid19.



L’album, di una trentina di minuti circa, si compone di sole otto canzoni, di cui sette nuove perché la bella The Possessed, è già inclusa in All that Reckoning (ma esclusa dal vinile). La copertina del disco virtuale raffigura un mare aperto su cui incombe una piccola nuvola nera, bassa e minacciosa, nella vastità di un cielo azzurro che la circonda. La nuvola nera c’è, è un fatto, e probabilmente è anche foriera di pioggia ma nel complesso l’immagine trasmette un senso di pace e di serenità perché non è il brutto tempo a prevalere in quanto la nuvolaccia è sovrastata da un fascio di luce che fa presagire un acquazzone solo di passaggio. È proprio questa luce, questa grazia che illumina e che abbraccia tutto e tutti, il filo conduttore delle liriche di questo nuovo lavoro.



I fantasmi del titolo si manifestano subito “pezzo a pezzo, mi stanno facendo a fettine” nella prima canzone dell’album Desire Lines in tipico stile low-fi. Tornando alla già citata Breathing, si apprezza un pianoforte dolce e malinconico che fa da sfondo agli interrogativi di commiato che sembrano rimanere sospesi senza una risposta. Is this the time to say goodbye? “Ma lo sapevi che stavi andando via quando eri seduta lì quella notte? Domande che assillano, spettri che si creano e che non vogliamo lasciare andare via: “Raggiungerò quegli spiriti guida, chiamandoli la notte torneranno in vita, mi tireranno indietro nell’aldilà”. La successiva Grace Descends non solo è la canzone più bella ma è anche la più significativa di Ghosts. “Oltre la misericordia, oltre il giudizio, oltre a quello che puoi far finta di offrire in quella mano distesa, oltre tutto questo, la grazia discende”. Un Oltre che sovrasta tutto e che rimanda ad Altro.

La canzone è una lunga lista di “Beyond”, di oltre: oltre il cuore, oltre il dolore, oltre il significato, oltre la fede. Come dire, a prescindere da tutto, in aggiunta a quello che l’animo e lo sforzo umano mostrano e sono in grado di fare, la grazia discende. Questa grazia che scende e che si fa presente è ancora più evidente proprio nei momenti più drammatici come la morte di una persona cara. A prescindere dalle circostanze, dai tempi e dai modi in cui la morte si manifesta, si rimane incapaci e smarriti. Il sentimento umano non può e non vuole accettare che ci sia una fine; il vuoto e il dolore del distacco non possono essere evitati ma la grazia è talmente sovrabbondante che fa sì che l’uomo abbia sempre la possibilità di non sentirsi mai orfano. Mai.

Proseguendo nell’ascolto (You don’t get to) Do it Again ha un sound quasi psichedelico ma è la seguente Misery a stupire nuovamente. Un rock solido e compatto in cui la voce raffinata di Margo invita l’ascoltatore ad un canto corale in cui mette con forza a fattor comune le vicende e il destino umano che ci accomuna alle persone care: “Your misery is my misery, Your mysteries are my mysteries, Your mysteries are my misery, Your memories are my memories, Your misery is my misery”. The Dog Barks tira il freno e rallenta di nuovo il passo del disco ma in questo pezzo ci sono l’organo e il violino che trasformano una tranquilla ballata in suoni rumorosi e distorti. L’album si chiude con Ornette Coleman, un dolce brano che si poggia sul banjo e sul sax che vuole essere un tributo al sassofonista americano considerato il padre del movimento free jazz venuto a mancare nel 2015. Ornette Coleman è un altro fantasma che aleggia sulla band: “L’ho visto una volta in centro a Bodega a comprare mele, credo, e una lattina di cream soda”. Un artista che ha ispirato la stesura del disco e il percorso di crescita della band in questi anni: “la sua musica mi ha fatto rimettere in discussione la forma della mia vita a venire”.

Dopo oltre trent’anni anni di carriera i Cowboy Junkies sanno ancora raccontare, come pochi altri, storie di vita e di morte, di misericordia e di grazia. Fantasmi che diventano maestri e padri che si fanno spiriti. Storie che fanno sanguinare il cuore e che sostengono la domanda.